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(Sesto e ultimo post. Qui per leggere il quinto)

Nel 2016 vedremo il testo unico sulla riforma della Pa, che peraltro non inciderà in maniera rilevante sulla caterva di leggi, decreti, circolari, interpretazioni di parte, che rendono costosamente difficile lavorare in modo efficiente e produttivo, né sulla sovrapposizione delle competenze.
Transparency international pone l’Italia al sessantunesimo posto su 168 paesi per quel che concerne la corruzione, alla pari di Lesotho, Senegal e Montenegro. L’attuale governo forse riuscirà a risalire di qualche posizione grazie alla Legge delega sugli appalti, già approvata in Senato. Ma un radicale cambiamento di rotta, un cambio di mentalità, non potrà avvenire se non dopo l’eliminazione del “peccato originale” burocratico. E anche se non sono in agenda interventi sui 365 enti parastatali le partecipate risulteranno ridotte in due anni di circa 2.500 unità. La sostituzione del termine “tempo reale” a quello – attualmente imperante – di “tempo burocratico” non pare al momento possibile.

Purtroppo il governo sta nel contempo cercando di ottenere dall’Europa il permesso per una maggiore spesa pubblica. Se l’intenzione è quella di ottenere una flessibilità maggiore nell’esame del bilancio dello stato per gli anni a venire, il significato è che Renzi non si sente sicuro di riuscire a cambiare radicalmente, nel tempo, quel che sta alla base del malfunzionamento dello Stato.
Inoltre la Ue ha proprio in questi giorni richiamato l’Italia sul fatto che il debito pubblico del Paese (131% circa/Pil) è ad alto rischio nel medio periodo, a partire dal 2017: una crisi economica, il venir meno di condizioni oggi favorevoli e un rialzo dello spread, avrebbero effetti deleteri sulla sostenibilità del debito pubblico. “Un’attenzione particolare al taglio delle spese improduttive, all’eliminazione degli sprechi ed all’aumento dell’efficienza”, questo il suggerimento dell’Europa per ottenere un pareggio di bilancio nel medio termine.

Nell’impossibilità di attuare una vera rivoluzione, molti anni saranno necessari per riuscire ad intravedere la luce all’uscita del tunnel. A mio avviso è degno di ammirazione chi, come Matteo Renzi e come papa Bergoglio, cerca di svolgere con determinazione intelligenza e fede i differenti compiti che le capacita’ personali ed il destino hanno loro assegnato. Nel frattempo, (e mi riferisco a Renzi senza entrare nel merito dell’infallibilità del Papa,) errare humanum est : perciò diciamo no ad ulteriori iniziative che continuino la prevaricazione sui pensionati pubblici. Se ciò si verificherà, ricorsi legali a tutela delle pensioni in essere saranno automatici e poggeranno sulla ovvia constatazione che le pensioni costituiscono una retribuzione differita e che e’ pertanto ( per ora?) incostituzionale un prelievo tributario maggiore sui pensionati rispetto ad altri titolari di reddito

Ma il problema resta politico!

CONCLUSIONI

Per concludere, lo Spirito della Costituzione non può essere umiliato per mezzo di interventi strumentali di natura tecnica o fini e sofisticate disquisizioni interpretative,
Lo stato di diritto e la certezza del cittadino nell’applicazione della legge va salvaguardata nel Paese e deve essere, a parità di condizioni, privilegiata nella scelta della strada più idonea ad agire sui limiti economico finanziari del bilancio statale.

Il governo non deve cedere alla tentazione di risolvere i problemi imboccando la strada perversa della invidia sociale e della contrapposizione generazionale avvalendosi di una duplice arma impropria. In primis i tempi lunghi della giustizia italiana che si confrontano, fatti i debiti scongiuri,con la statistica sulle aspettative di vita per fascia d’età,per definizione avanzata ,dei pensionati. In seconda battuta, la possibilità di cancellare con un decreto legge la sostanza dell’esito favorevole dei ricorsi legali,(come anche recentemente si e’ verificato allorquando, con la legge 109/2015, il governo ha nell’arco di una decina di giorni cancellato con un colpo di spugna i diritti riconosciuti a milioni di pensionati dalla sentenza 70 /2015 della Consulta ,riguardante la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 24 , comma 25 del dl 201/2011 del governo Monti, con il quale il ministro Fornero aveva a suo tempo bloccato l’adeguamento degli assegni all’inflazione per gli anni 2012-2013)
Recentemente (28/01/16) il tribunale di Palermo ha rinviato il problema alla Corte costituzionale, dopo il ricorso presentato da un cittadino contro la legge 109/15. Anche questo governo sceglie la strategia del ping pong: ottemperanza molto parziale della sentenza 70/2015 della Consulta, orecchi da mercante alla sostanza della sentenza stessa e strizzata d’occhi alla linea di Monti che aveva addirittura“sollecitato” i giudici a privilegiare la politica economica piuttosto che lo spirito e i dettami della Costituzione – fortunatamente come Senatore a vita e non più nella veste di capo del governo -. È evidente che i doverosi equilibri di bilancio devono essere rispettosi dei principi etici e dei diritti acquisiti.
Una giusta, forte e strenua opposizione politica da parte dei pensionati dovrebbe essere considerata dal Presidente del Consiglio più come un’opportunità che come un fastidio: essa può infatti favorire l’orientamento del Governo nella giusta direzione per quel che riguarda le modalità di reperimento delle risorse necessarie alla salvaguardia delle esigenze di equilibrio del bilancio, giustificando interventi più decisi e capaci di contrastare le importanti resistenze e incrostazioni che evidentemente costringono ad un passo lento ed impediscono una più rapida ristrutturazione della macchina dello Stato.

(6/Fine)

I tempi burocratici delle pensioni

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