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Nel risiko bancario in corso, la riorganizzazione del sistema finanziario italiano sta avvenendo in accordo con Wall Street o meno? Inoltre il grande shock del sistema finanziario americano e globale con la guerra dei dazi e la benedizione ufficiale delle cripto-valute porterà a una nuova stabilità economica mondiale o a una crisi come quella del 2008 con i subprime?

Non ci sono risposte chiare ad alcuna delle domande. Questo il problema di fondo dello scontro sulle banche in corso nel Paese.
Il vecchio ordine finanziario italiano fu stabilito dopo la fine della Seconda guerra mondiale intorno a Mediobanca in accordo con Parigi, Londra e New York. Si trattava di dare nuove basi all’economia nazionale e rilanciare le imprese private. Il collegamento della finanza italiana con quello internazionale ha tenuto in piedi il sistema fino adesso.

Però allora, la finanza mondiale si reggeva sulle solide basi dell’accordo di Bretton Woods. Nixon nel 1971 scosse il sistema globale staccando il cambio fisso tra dollaro ed oro. Quel distacco fu generato e creò una crisi mondiale. Essa colpì anche il sistema finanziario italiano che però rimase saldamente incentrato su Mediobanca.

Oggi il dollaro è chiaramente in affanno come lo era nel ‘71 e questa volta il biglietto verde alleggerisce ulteriormente la sua posizione benedicendo l’arrivo nel sistema cambi delle cripto-valute, monete stampate da privati con valutazioni molto volatili e senza un governo che le garantisca. Le cripto non sono accettate dalla Cina, la prima potenza commerciale mondiale.
Le monete private non sono una novità nella storia del capitalismo ma sono spesso crollate su sé stesse. Oggi le tecniche e gli strumenti finanziari sono molto più sofisticati e in teoria dovrebbero garantire una maggiore solidità delle cripto.

Però la febbre dei subprime nei primi anni 2000 portò alla crisi del 2008. Oggi gli Stati Uniti hanno un debito pubblico da record, un deficit commerciale senza precedenti e intendono ridisegnare il sistema degli scambi internazionali senza un accordo con gli alleati e con forti opposizioni al loro interno. Gli accordi di Bretton Woods e il distacco dollaro-oro avvennero senza grandi opposizioni esterne e in periodi di guerra, la Seconda guerra mondiale e la guerra del Vietnam.

In altre parole, oggi la ridefinizione della finanza italiana avviene sotto dubbi più ampi: l’incertezza generale del sistema monetario e commerciale mondiale, l’incertezza del rapporto tra finanza italiana e finanza americana, l’opposizione interna in Italia e in Europa alla nuova concentrazione bancaria.

Può darsi che il governo e Francesco Gaetano Caltagirone, il protagonista di questo risiko, abbiano informazioni che noi non abbiamo e rassicurazioni che forse non possono condividere pubblicamente. Se è così tutto bene, ma certo in generale il presidente della Consob Paolo Savona e varie istituzioni italiane hanno ragione ad essere prudenti. Anche perché in questi sei mesi l’amministrazione di Donald Trump non è stata un modello di sicurezza, ma si è mossa invece con grande volatilità, cambiando spesso idea.

Una crisi finanziaria globale approfondirebbe le difficoltà attuali della Cina, restringendo il suo surplus commerciale, principale motore del suo sviluppo attuale. Una crisi poi brucerebbe in parte il credito cinese in buoni del tesoro americano. Queste conseguenze potrebbero tentare qualcuno in America a volere uno scossone. D’altro canto, un crollo di Borsa nei prossimi mesi farebbe forse perdere le elezioni di Midterm (autunno del 2026) a Trump.

Ciò potrebbe avere ricadute immense in Italia e nel suo sistema bancario. È pur vero che senza un momento di crisi importante forse ci sarebbero state troppe resistenze interne e internazionali a ridisegnare il Lego della finanza italiana, e quindi se andava fatto oggi è il momento di farlo.

Al di là delle simpatie o antipatie per il governo o Caltagirone, di certo la finanza italiana è in affanno. Raccoglie immensi depositi e investimenti da privati, non riesce a canalizzarli in Italia e li esporta spesso all’estero, caso unico tra le economie sviluppate.
Il vecchio era a pezzi. Bisognerà vedere se il nuovo riuscirà a sopravvivere agli scossoni.

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Al di là delle simpatie o antipatie per il governo o Caltagirone, di certo la finanza italiana è in affanno. Raccoglie immensi depositi e investimenti da privati, non riesce a canalizzarli in Italia e li esporta spesso all’estero, caso unico tra le economie sviluppate. Il vecchio era a pezzi. Bisognerà vedere se il nuovo riuscirà a sopravvivere agli scossoni. La riflessione di Francesco Sisci

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