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Alla riapertura delle edicole, dopo 48 ore di assenza natalizia dei giornali, ho visto un po’ di gente non in maschera, essendo ancora il Carnevale da venire, ma in mascherina. Non so, a questo punto, visto come i giornali sono tornati, se per proteggersi dall’inquinamento ambientale aumentato paradossalmente con il bel tempo, o dalle notizie. Fatte prevalentemente di annunci catastrofici di ogni tipo: ambientale, come si è detto, ma anche politico, economico e sociale.

“L’Italia di Renzi si blocca tra smog e metro chiusi”, ha annunciato a tutta pagina Libero, forse nella convinzione, con quel richiamo personale a Renzi, che con un altro presidente del Consiglio potremmo passarcela meglio, anche con le mascherine.

Il Fatto ha invece colto l’occasione per esortare i lettori, almeno quelli romani, a “rimpiangere” – pensate un po’ – l’ex sindaco Ignazio Marino, e la sua bicicletta, visto che il commissario straordinario succedutogli per decisione del governo, cioè di Renzi, sempre lui, sta riuscendo nell’impresa che sembrava obiettivamente impossibile di complicare ulteriormente la vita ai cittadini.

Il Tempo ha invece preferito allertare gli abitanti di Roma e dintorni perché non si limitino a mascherine o tute mimetiche, facendosene magari prestare da Renzi, felicemente tornato incolume dal Libano anche per quell’accorgimento, ma a chiudersi bene in casa, o nelle cantine, o nei rifugi antiaerei, se ancora ve ne sono di frequentabili, perché “il Califfo ha ordinato l’attacco al Vaticano”. Che disgraziatamente sul piano fisico equivale a Roma, o a gran parte di essa, affollata per giunta di pellegrini accorsi al Giubileo della Misericordia.

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Di misericordia per l’avversario, il concorrente o solo lo sgradito, per i più diversi motivi, non si riesce a nutrirne nonostante gli incitamenti che il Papa fa anche più volte al giorno, pur cedendo anche lui ogni tanto al peccato. Visto, per esempio, che per quel povero Marino, di cui abbiamo appena ricordato la pur metaforica caduta dalla statua capitolina di Marco Aurelio, il Pontefice di misericordia ne ha avuta francamente ben poca. E chissà se anche a lui non abbia cominciato a pentirsene e non sia tentato di invitarlo e salutarlo in occasione di qualche cerimonia, anche a costo di compromettere questa volta le coronarie elettorali del pur giovane presidente del Consiglio.

Estimatore ormai notissimo del Papa, che probabilmente non dispera di trasformarlo prima o poi in fedele, fra una telefonata e un incontro, Eugenio Scalfari applica la sua misericordia in modo rigorosamente laico.

Nei precedenti e abituali interventi domenicali sulla sua Repubblica il fondatore della corazzata della sinistra italiana aveva mostrato ultimamente di volere attenuare la diffidenza una volta fortissima verso Renzi, troppo decisionista e persino berlusconiano per i suoi gusti. Egli era sembrato un po’ rassegnato alla svolta, inutilmente contrastata con infastidite reazioni e minacce di ritiro, costituita dalla decisione dell’editore Carlo De Benedetti di affidare a metà gennaio la guida del giornale al direttore uscente della Stampa Mario Calabresi. Per il quale il presidente del Consiglio non ha mai nascosto una certa simpatia, ricambiata.

Eppure, in questa prima domenica dopo la celebrazione della nascita di Gesù, volendosi occupare dell’annosa questione meridionale attratto anche da un intervento di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, eccezionalmente condiviso, Scalfari ha chiuso la sua omelia laica dando un bel calcio politico agli stinchi del presidente del Consiglio. Del quale ha scritto, in particolare, che “comunque ha ben altro di cui occuparsi”, per cui “lasciamolo tranquillo e forse avremo meno guai”.

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Non meno severo e liquidatorio di Scalfari ha voluto essere Giampaolo Pansa, nel suo Bestiario, con Silvio Berlusconi, descritto davanti all’albero di Natale a fare gli auguri elettronici al suo pubblico come “una mummia”. Egli ha paragonato l’indubbia crisi elettorale e politica che attraversa l’ex Cavaliere con la sua Forza Italia in continua dissoluzione al 25 luglio 1943 di Benito Mussolini.

Ma anche Pansa ha le sue debolezze, per cui nella rappresentazione senza rimedio del mondo berlusconiano ha voluto risparmiare il senatore Sandro Bondi, l’ex coordinatore, segretario, poeta e amico personale di Berlusconi. Ha confessato di farlo, onesto com’è il mio amico Giampaolo, per un mezzo conflitto d’interesse.

Bondi è stato sempre un dichiarato estimatore, e divulgatore nei suoi limiti, delle coraggiose narrazioni della Resistenza fatte da Pansa tagliando tutti i ponti con una sinistra che non gliel’ha mai perdonata. D’altronde la sinistra notoriamente non è misericordiosa, anche se le piace Papa Francesco, almeno sinora.

Le ultime stilettate di Scalfari a Renzi

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