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Amministratori pasticcioni, per non dire altro. Collegi sindacali ciechi, se non complici dei suddetti amministratori. Vigilanti bancari quanto meno sonnacchiosi. Vigilanti su Borsa e risparmiatori che intervengono quasi sempre a babbo morto. È questo il quadro che emerge dal caso di Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti.

Ciò detto, la domanda alla quale rispondere ora è la seguente: c’era davvero una reale alternativa al decreto approvato dal governo il 22 novembre che ha “salvato” le banche, tutelando l’occupazione, i correntisti e una parte degli obbligazionisti?

Le strade per cercare di salvare le banche interessate erano quattro, escludendo quella che qualcuno ora sotto sotto invoca, ossia un salvataggio con risorse statali che non è più possibile in base alle regole europee. Qualche numerino a futura memoria: alla fine del 2014, gli aiuti di Stato concessi alle banche ammontavano a 238 miliardi di euro in Germania (8,2% del Pil), 52 miliardi in Spagna (5%), 42 miliardi in Irlanda (22,6%), 40 miliardi in Grecia (22,2%), 36 miliardi nei Paesi Bassi (5,5%), 28 miliardi in Austria (8,4%), 19 miliardi sia in Portogallo (11,0%) sia in Belgio (4,6%). A quella stessa data era di circa 1 miliardo il sostegno pubblico in Italia.

Ma torniamo alle quattro strade. La prima era quella di un intervento del Fondo interbancario di garanzia dei depositi (Fitd) con iniezioni di capitale nelle banche in questione. Secondo gli uffici della Commissione europea, però, l’intervento sarebbe stato un aiuto di Stato, quindi vietato. Il motivo? La partecipazione degli istituti di credito al Fitd è obbligatoria. Che ci azzecca? Nulla. Ma i burocrati di Bruxelles ragionano così (ovviamente telecomandati dal governo tedesco). E il Tesoro italiano, evidentemente, non è riuscito a far ragionare diversamente i signori burocrati. In verità, gli uffici della Commissione europea potevano anche dare il via libera al progetto del governo e della Banca d’Italia ma a patto che fossero spennati pure tutti gli obbligazionisti, non solo quelli subordinati.

Così il governo ha preferito ricorrere al Fondo di Risoluzione, previsto dalla direttiva europea Brrd: a pagare sono stati azionisti e obbligazionisti subordinati (ossia titolari di bond a rischio più elevato rispetto alle obbligazioni “normali” e assimilabili a quote di capitale e non solo di debito). Ci si può pure stracciare le vesti, ma l’alternativa quale sarebbe stata? La liquidazione delle quattro banche.

E cosa sarebbe successo con la liquidazione? Quali sarebbero stati gli effetti? Ecco cosa ha detto Bankitalia in un’audizione due giorni fa in Parlamento: sarebbero andati in fumo 12 miliardi di massa “non protetta”, inclusi i 2,4 miliardi di obbligazioni non subordinate. Insomma, sarebbe stato applicato il bail-in dei creditori, che sarà obbligatorio dal primo gennaio per le banche in crisi.

In altri termini, senza il decreto del governo, alle 200mila piccole imprese con affidamenti nelle quattro banche si sarebbe dovuto chiedere il rientro immediato. “Sarebbero stati tutelati – ha detto il capo della vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo – i soli portatori di depositi garantiti, sacrificando i crediti di un milione di risparmiatori e i posti di quasi seimila lavoratori, con una devastante distruzione di valore”.

C’era infine una terza strada, come si evince dagli spifferi di Bruxelles citati ieri dall’Ansa. C’era la possibilità che a salvare le banche fossero “fondi privati”. Che significa? Il Fondo di Risoluzione messo in campo non si basa su fondi privati?

Dice Bankitalia: con l’intervento approvato ora, “lo Stato non sopporta alcun onere finanziario derivante dall’intera operazione. I costi sono stati addossati in massima parte al sistema bancario italiano, che ha messo a disposizione del Fondo di Risoluzione un importo complessivamente pari a circa 3,6 miliardi di euro per far fronte alla copertura delle perdite residue (1,7 miliardi) e per capitalizzare le “banche ponte” (1,8 miliardi) e la società veicolo per la gestione delle attività deteriorate (140 milioni). La liquidità necessaria per far fronte al complessivo intervento del Fondo di Risoluzione è stata anticipata da primari gruppi bancari italiani con un finanziamento a tassi di mercato e con scadenza massima a 18 mesi. Il finanziamento verrà in gran parte (circa 2,3 miliardi) rimborsato già nei prossimi giorni, grazie ai contributi ordinari e straordinari versati dalle banche italiane al Fondo di Risoluzione”.

Quindi cosa intende Bruxelles per “fondi privati” che avrebbero potuto salvare i quattro istituti di credito? Spiega una fonte bancaria a Formiche.net: “Con quelle parole, presumibilmente Bruxelles intende che i consigli di amministrazione delle banche italiane, volontariamente, avrebbero deliberato l’ammontare di risorse necessarie al salvataggio dei quattro istituti. Ma siamo sicuri che tutte le banche avrebbero partecipato? Per questo, forse, il governo e Bankitalia hanno scelto la strada del Fondo di risoluzione”.

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