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Due Paesi lontani sia geograficamente che culturalmente pronti a stringere un matrimonio “win win” che porterà vantaggi sia alla Cina che ad Israele. L’idea che le due superpotenze vogliono, nell’arco di un anno, raggiungere un accordo per creare un’area di libero scambio è una notizia destinata a far rumore. Non a caso l’annuncio è stato fatto in tono solenne a Gerusalemme dal premier israeliano Benjamin Netanyahu e dal vicepremier cinese Liu Yandong durante il vertice tra i due Paesi per la cooperazione e l’innovazione che ha portato alla sigla di diversi accordi in materia di istruzione, agricoltura, scienze, tecnologia, proprietà intellettuale, assistenza sanitaria e lo scambio di risorse umane.

I COMMENTI

“La cooperazione tra i nostri due paesi può produrre grandi risultati ha detto un sorridente Netanyahu  Crediamo che Israele possa essere il partner perfetto per la Cina”. Da parte sua il vicepremier cinese ha elogiato “Israele per la sua capacità di innovare, precisando che il libero scambio tra i due paesi includerà lo scambio di servizi e la cooperazione economica e tecnologica e potrebbe arrivare a raddoppiare il commercio tra i due Paesi, che attualmente ammonta a circa 8 miliardi di dollari”.

I NUMERI

Un matrimonio che fa vincere entrambi. Con Tel Aviv, Pechino ha allacciato relazioni diplomatiche dal 1992. Da allora – secondo i dati dell’ambasciata della Repubblica popolare cinese in Israele – il commercio bilaterale tra i due paesi è cresciuto di 160 volte, passando da 50 milioni di dollari agli attuali 8 miliardi di dollari. La Cina è diventato così il terzo partner commerciale di Israele e i due esecutivi hanno istituito negli ultimi anni quattro task force su hi-tech, protezione ambientale, energia, agricoltura e finanza, settori che sono stati definiti strategici dal nuovo Piano quinquennale della Repubblica popolare.

LE MIRE CINESI

Alla Cina interessa principalmente la questione dell’approvvigionamento energetico. Pechino è già il singolo maggiore importatore di energia dal Medio Oriente e questa dipendenza è destinata a crescere nei prossimi anni. Infatti la Repubblica popolare, pur ricca in teoria di shale gas, è molto indietro sia nello sviluppo della tecnologia per l’estrazione sia nello sviluppo delle aree da sfruttare. Tutto questo costringe Pechino ad interessarsi di una zona che ha attentamente evitato per molti anni. Qui gli interessi cinesi sono in realtà doppi. Sulla carta, l’ex Celeste Impero vuole mantenere buone relazioni con tutti i Paesi della regione, quelli arabi in particolare. Con la Turchia nessuno nasconde un’antica frizione per l’appoggio di Ankara alla causa indipendentista degli uiguri della regione occidentale cinese del Xinjiang. Con l’Iran invece i rapporti una volta caldi, adesso sono più che positivi grazie alla nuova cooperazione imposta dal presidente Hassan Rouhani. Ecco perché Israele diventa un “partner ideale” che la Cina che può sfruttare come una sorta di “pivot” verso l’intero Medio Oriente.

GLI INTERESSI ISRAELIANI

A Israele interessano i capitali rossi. Basta guardare al caso di Horizons Ventures, il fondo d’investimento cinese, che costituisce la principale fonte di finanziamento dall’estero per una quantità di protagoniste della cosiddetta Silicon Wadi, la versione mediorientale della valley di San Francisco concentrata tra Tel Aviv e le città di Ra’anana, Petah Tikva, Herzliya, Netanya e Rehovot. Horizons ha investito in 28 startup israeliane, tra le quali Corephotonics (obiettivi per fotocamere degli smartphone) e Kaiima (bio-agritech) e ormai il 60% delle start up nel portafoglio del fondo è israeliano, a conferma del rapporto sempre più intenso tra Tel Aviv  e i “capitalisti rossi”, a caccia di tecnologie innovative, perché la nuova economia cinese mira a emanciparsi dal ruolo di fabbrica del mondo e iniziare a sfornare brand che si impongano sui mercati internazionali. Ma l’elenco non si ferma qui. Basta ricordare che il colosso della ricerca farmaceutica Wuxi lavora a Tel Aviv assieme al partner locale Pontifax, il colosso hi-tech Lenovo ha investito 10 milioni di dollari in Canaan partners mentre Shenyang Yuanda ha acquisito, per 20 milioni di dollari, Auto Agronom, azienda che si occupa dei sistemi d’irrigazione intelligenti. Insomma, i due paesi si muovono a braccetto nello sviluppo di alcuni settori industriali innovativi.

LO SCENARIO

Ma non solo. Oggi la Cina è di fatto tagliata fuori dai principali trattati di commercio internazionale come il Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) e il Trans-Pacific partnership agreement (Tppa). L’alleanza con Israele la rimette di fatto in carreggiata perché comunque Tel Aviv resta il principale partner a cui gli Stati Uniti continueranno a guardare anche nel dopo Obama. Ed è incredibile come appare davvero lontana l’immagine della Cina di Mao pronta a sostenere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Araft.

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