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Quando l’ultimo bullone fu avvitato proprio alla vigilia dell’inaugurazione, addirittura nella mezzanotte che la precedeva, nessuno ci credeva. Nessuno credeva che l’Esposizione Universale a Milano, per tutti più familiarmente “Expo”, si sarebbe conclusa con un successo mondiale per il nostro Paese. “L’Italia unita ha vinto la sfida”, può ben dire, adesso, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a fronte dei quasi ventidue milioni di visitatori in sei mesi, delle decine di Paesi e capi di Stato o di governo coinvolti nell’evento, del tema così antico da apparire moderno: come nutrire il pianeta, che è il segreto per dare energia alla vita.

Ma la regola dell’approccio “italiano” alle cose non perdona mai: sempre al novantesimo e a mezzanotte, sempre inseguiti dalla previsione che no, che stavolta sarà impossibile farcela. Eppure, quando meno te l’aspetti, quando tutto (scandali, cortei, bastian contrari per partito preso) lascia presagire il fallimento, ecco che gli italiani si rimboccano le maniche e vanno oltre ogni polemica per dare, semplicemente, il meglio di sé.

Nel caso dell’Expo l’eccellenza è stata condotta con l’intraprendenza in stile milanese e condita con la laboriosità in salsa lombarda: poche parole e tanta fatica, niente vittimismo e molte idee per colpire nel segno alla grande, e per lasciarlo. C’è, dunque, un “modello Milano”? Certo che sì. E’ il modello di quell’Italia che non si scoraggia, che non bussa alle porte del Palazzo, che non ha altro obiettivo comune se non quello di riuscire: perché è bello vincere insieme, è bello che un presidente della Repubblica possa oggi dire “orgoglio italiano”.

Esemplare, il modello Milano, anche per il Giubileo a Roma, che è in pieno conto alla rovescia, con la maggior parte dei cantieri per aria, senza sindaco né governo in Campidoglio, ma con un commissario, Paolo Tronca, fresco di nomina e di successo dell’Expo, essendo stato prefetto di Milano fino a ieri. La capitale morale può insegnare diverse cose alla capitale politica sfiduciata e deturpata come forse mai in passato: che le istituzioni devono pedalare forte e nella stessa direzione. Che la politica “scandalosa” deve restare fuori. Che la sicurezza dev’essere massima, ma discreta. E il controllo sulle opere e sull’organizzazione dell’evento ferreo e trasparente: meglio prevenire che curare. La staffetta fra Milano e Roma è già partita, ora è solo il momento di lavorare, lavorare e lavorare. Ma anche l’ultimo bullone del Giubileo -si può scommetterlo-, sarà fissato solo a mezzanotte.

Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com

Cosa può insegnare l'Expo al Giubileo

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