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Alla vigilia della Cop21 di Parigi è stato pubblicato il Rapporto di sintesi della convenzione che raccoglie i 119 impegni volontari stabiliti a livello nazionale (Indc) di riduzione delle emissioni di gas serra, trasmessi da 147 Paesi come stabilito dalla procedura per arrivare a un nuovo accordo internazionale sul clima. Questo è già di per sé un dato positivo dato che per numero e importanza dei Paesi coinvolti, questi sono molto più numerosi e rilevanti di quelli che si erano impegnati con il protocollo di Kyoto. Il Rapporto di sintesi fornisce anche una stima dei livelli aggregati delle emissioni di gas serra nel 2025 e il 2030 derivanti dalla attuazione di tali Indc rispetto ai livelli di emissione del 1990, 2000 e 2010. Traccia anche le traiettorie delle emissioni con le azioni comunicate dalle parti per il periodo pre-2020, e con quelle che manterrebbero l’aumento della temperatura globale media terrestre al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali.

L’attuazione degli Indc comunicati alla vigilia di Parigi darebbe luogo a livelli aggregati di emissioni globali annue di 55,2 Gt CO2 equivalenti nel 2025 e 56,7 Gt CO2 equivalenti nel 2030. Il totale delle emissioni di CO2 cumulative dopo il 2011 dovrebbe raggiungere le 541,7 Gt CO2 nel 2025 e 748,2 Gt CO2 nel 2030. I livelli di emissione aggregati globali derivanti dagli Indc sono stimati superiori del 34-46% nel 2025 e del 37-52% nel 2030 rispetto al livello di emissioni globali nel 1990. Queste cifre indicano che le emissioni globali, considerando gli Indc, continuerebbero a crescere fino al 2025 e al 2030, anche se la crescita dovrebbe rallentare in modo sostanziale dell’11-23% nel periodo 2010-2030 (rispetto al 24% del periodo 1990-2010).

La riduzione delle emissioni globali prodotta da questi impegni nazionali comunicati sarebbe di 2,8 Gt CO2 equivalenti nel 2025 e di 3,6 Gt CO2 equivalenti al 2030. Rispetto agli scenari Ipcc dei 2°C a costo minimo, l’effetto degli impegni nazionali annunciati per Parigi (Indc) sono insufficienti: la loro riduzione delle emissioni globali sarebbe del 19% (8,7 Gt CO2 equivalenti) inferiore a quella necessaria per restare nella traiettoria dei 2° C a costo minimo al 2025 e di ben il 35% (15,1 Gt CO2 equivalenti) inferiore a quella necessaria al 2030. Se ci si limitasse, come non pochi Paesi vorrebbero, a ratificare gli Indc e se le riduzioni al 2030 fossero quelle annunciate, si potrebbe ancora recuperare la traiettoria dei 2°C solo con impegni e costi maggiori successivi al 2030 come analizzato negli scenari dell’Ipcc nel suo 5° Rapporto (Ar5). Poiché i gas serra sono longevi nell’atmosfera e visto che sono le emissioni cumulative a determinare l’impatto sul sistema climatico, le emissioni più elevate nel decennio 2020-2030, rispetto alla traiettoria dei 2°C a costo minimo, renderebbero necessarie riduzioni successive delle emissioni maggiori e più costose per raggiungere il medesimo risultato.

Anche se è più difficile valutare gli impatti diretti a breve termine di una insufficiente riduzione delle emissioni mondiali di gas serra e di un rinvio di una più consistente riduzione dopo il 2030, è  probabile che tali effetti vi sarebbero e si tradurrebbero in un’accelerazione e un aggravamento degli effetti che già stiamo verificando: maggiore intensità e frequenza di siccità, di ondate di calore in certi periodi dell’anno e di precipitazioni molto intense  con aumento delle alluvioni e delle frane in altri. È quindi necessario un miglioramento degli impegni nazionali comunicati prima della conferenza di Parigi raggiungibile in diversi modi: migliorando i target nazionali di alcuni Paesi grandi emettitori (Cina, Stati Uniti e anche Unione europea), allargando i target sulle emissioni con obiettivi di efficienza energetica e di sviluppo delle fonti rinnovabili, promuovendo strumenti economici e fiscali per eliminare gli incentivi ai fossili  per introdurre forme di carbon pricing, promuovendo ricerca, innovazione, buone pratiche e trasferimento di buone tecniche, migliorando l’impegno finanziario e la cooperazione internazionale, cogliendo la sfida climatica come occasione di sviluppo di una green economy.

Prima della Conferenza di Parigi, si è tenuta una riunione preparatoria delle Parti (Adp) che si è conclusa il 23 ottobre a Berlino e che è servita più che altro ad aggiornare la ricognizione delle posizioni dei vari Paesi e a indicare una vasta gamma di questioni sulle quali non c’è ancora un accordo unanime. I co-presidenti hanno ripresentato i documenti emersi dai precedenti incontri: un progetto di testo per l’accordo di Parigi, uno sulle relative decisioni per la gestione dell’accordo e un terzo sulle ambizioni pre-2020. Il documento si basava sulle 90 pagine di Ginevra, tenendo conto dei punti di vista e delle posizioni espresse dalle parti nel corso degli ultimi otto mesi. Il risultato era raccolto in 20 pagine: nove su un progetto di testo dell’accordo, strutturato in 26 articoli e 11 pagine su un progetto di decisione che comprendeva i filoni (1 e 2) post e pre 2020. Tre le certezze finora: innanzitutto gli impegni di riduzione al 2030 comunicati da 147 Paesi, in secondo luogo i documenti licenziati a Parigi – un accordo e un documento di decisioni – e, infine, il fatto che permane una volontà politica largamente prevalente di arrivare a un accordo.

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