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Gli sforzi dell’Italia nella lotta alla corruzione sono tanti e arrivano i primi positivi riscontri. Nel 2015 il nostro Paese risale ben 8 posizioni nella classifica di Transparency international della corruzione nella pubblica amministrazione, passando dal 69° al 61° posto. Per “la prima volta si registra una inversione di tendenza” è questo dato ci conforta per andare avanti nel nostro lavoro, commenta il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone.

Bisogna proseguire su questa strada al cambiamento culturale della società che parta dal basso attraverso meccanismi che favoriscano la trasparenza e l’emersione di fatti corruttivi, In questa chiave va compreso l’istituto del whistleblowing, di recente creazione legislativa; esso risponde all’esigenza di apprestare adeguata tutela al dipendente che segnala condotte illecite verificatesi all’interno del luogo di lavoro. In ossequio alle convenzioni internazionali dell’ONU, dell’Ocse e del Consiglio d’Europa, la legge 190 del 2012 ha recepito tali previsioni, affermando il divieto del nome del segnalante e la tutela rafforzata verso ogni forma di discriminazione diretta o indiretta, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. La protezione del segnalante è chiaramente finalizzata alla emersione di fenomeni corruttivi e di cattiva gestione amministrativa.

Così il piano nazionale anticorruzione colloca il trattamento di tutela del dipendente che segnala condotte illecite tra le misure finalizzate alla prevenzione della corruzione, facendo scattare, in queste ipotesi, le misure di vigilanza di competenza dell’Autority. L’autorità nazionale anticorruzione è uno dei soggetti destinatari delle segnalazioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Il whistleblower sembra destinato a modificare i comportamenti dentro le pubbliche amministrazioni, indirizzando i dipendenti verso azioni virtuose di contrasto alla corruzione. Il cammino è inarrestabile ma, come tutte le innovazioni significative nel sistema sociale, occorre del tempo per modificare antiche e radicate abitudini.

Da recente, la Camera ha approvato nuove disposizioni in materia di whistleblowing; misure che con equilibrio e nel rispetto delle garanzie rafforzano la tutela della riservatezza (ma non l’anonimato), responsabilizzando, al contempo, i dipendenti pubblici. Ciò implica che bisogna essere in presenza di una segnalazione circostanziata e della ragionevole convinzione che la condotta illecita si sia verificata. L’Autorità nazionale anticorruzione può comminare sanzioni pecuniarie da 5 mila a 30 mila euro a carico dell’ente che oppone azioni di mobbing e, più in generale, provvedimenti discriminatori. La collaborazione nel contrasto alla corruzione rappresenta un dovere civico cui tutti i cittadini sono chiamati e, di conseguenza, la legge non prevede forme di premialità per chi denuncia illeciti.

In caso di processo penale il denunciante resta “coperto” non oltre la chiusura delle indagini preliminari. La buona fede viene esclusa se il segnalante agisce con dolo o colpa grave. È stata introdotta anche una clausola “anti calunnia”: ed invero le forme di tutela previste dalla legge vengono meno se interviene una sentenza di condanna, anche in primo grado, per diffamazione o calunnia di chi denuncia il falso. In queste ipotesi si apre anche un procedimento disciplinare a carico del dipendente che ha agito in mala che può portare fino al licenziamento. Adesso la legge passa al Senato, con l’auspicio che l’approvazione definitiva avvenga in tempi ragionevoli.

Whistleblowing, tutti i passi nella lotta ai corrotti in Italia

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