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Judy Garland nel film-cult Il mago di Oz lo dice alla fine di un terribile tornado quando non si ritrova più in Kansas in bianco e nero, ma nel mondo di Oz a colori, dove nulla è come prima. Ma nel mondo di Oz c’è una strada di mattoni gialli che porta a destinazione. Da noi di tornado/crisi ce ne sono stati parecchi, ma la strada per uscirne non è evidente: solo recentemente col rapporto Draghi abbiamo la road map chiaramente disegnata anche nei dettagli. Nelle sue 400 pagine ci mostra l’ampiezza e l’intreccio delle politiche da mettere in atto: dall’educazione, alle infrastrutture, dalla manifattura ai servizi, dal mercato unico dei capitali alla concorrenza, dalla decarbonizzazione alla difesa europea e il tutto portando a un livello superiore la digitalizzazione carente e poco diffusa in Europa.

Resta ancora qualcosa da dire oltre le 400 pagine del piano Draghi? Sì, perché le pubblicazioni istituzionali non possono criticare apertamente gli errori del passato portando esempi salienti. E perché tutti alla fine della lettura ci chiediamo come metterlo in atto. Nel libro L’Europa a una svolta noi proponiamo una gerarchia degli interventi principali di politica industriale con una sequenza precisa delle misure affinché, ad esempio, la decarbonizzazione non ostacoli la competitività in settori industriali importanti e le leggi per la concorrenza non soffochino l’innovazione o il raggiungimento di taglie d’impresa capaci di competere sul mercato mondiale.

La sequenza giusta è cominciare col ridurre il gap tecnologico con Stati Uniti e Cina, per pagare i costi della transizione energetica, la nuova rivoluzione industriale guidata dall’IA e il rafforzamento della difesa, reso urgente dal nuovo contesto geopolitico: tre obiettivi con un costo d’investimenti pari a più del doppio del Piano Marshall. L’innovazione aumenterà la produttività e la crescita della quale abbiamo bisogno anche per la sostenibilità del debito pubblico, che permetterà ai bilanci pubblici di integrare gli investimenti privati in questo sforzo. L’Unione dei capitali servirà infatti a mobilizzare i risparmi privati, ma non sarà sufficiente.

Partire dalla digitalizzazione, inclusa l’Intelligenza Artificiale generativa che cambierà i processi produttivi e creerà nuovi prodotti, permetterà la crescita malgrado una popolazione in età di lavoro che si riduce inesorabilmente in Europa. Con l’aumento della produttività avremo una risposta alternativa all’immigrazione. E con la crescita dei salari e degli standards di vita daremo una risposta seria a bisogni oggi interpretati pericolosamente dalla destra populista.

Per non perdere il treno della prossima rivoluzione industriale basata sull’IA occorrono capitale umano e basse barriere all’entrata, semplificando burocrazia e regolazione -in particolare, antitrust adeguato all’economia digitale. Per il primo, non solo occorre formare ingegneri Itc e tecnici digitali, ma diffondere la digitalizzazione ai managers, alle pmi, alla pubblica amministrazione. Capitale umano e innovazione sono al cuore di Orizzonte Europa 2021-27: in 40 anni questo programma si è guadagnato reputazione scientifica, ma ha palesemente fallito nel compito di ridurre il gap di brevetti e d’innovazione nei confronti di Usa e Cina.

Dovremmo dunque rivederne la governance e i criteri di selezione dei progetti, e rivalutarne le partnership (per esempio dell’esercito cinese) sulla base della sicurezza. Solo allora dovremo rivalutare la dotazione finanziaria di Orizzonte Europa, pari a 95.5 miliardi nei 6 anni 2014-20, vista la spesa effettiva in R&S della sola Microsoft negli stessi 6 anni di 99.8 miliardi. Da considerare insieme ai 84.9 miliardi di Apple, 77.7 di Google e 63,5 di Facebook. Le superstar dell’innovazione, ricerca e investimenti sono infatti le Big Tech, delle quali si parla per gli exploit di valore azionario, ma sono egualmente eccezionali per spese di capitale e di ricerca. L’anno scorso le Magnifiche 7 hanno reinvestito 419 miliardi in spese di capitale e R&S. Amazon, da sola, ha speso 53 miliardi in investimenti e 86 miliardi in R&S. Ciò di cui non si può accusare queste aziende è di massimizzare i profitti a breve termine a discapito degli investimenti.

Per le seconde, una diversa politica di concorrenza europea è necessaria: quando il 19 luglio in tutto il mondo agenzie di viaggio, TV, banche sono state bloccate per ore e aerei costretti a terra dal malfunzionamento di un aggiornamento software, quanti si sono accorti della responsabilità dell’antitrust europeo? La causa dell’interruzione è stato un aggiornamento software proveniente dalla società di sicurezza informatica CrowdStrike, un software esterno che pure aveva accesso al nocciolo operativo di Microsoft secondo la richiesta dell’antitrust europeo. In questo caso è evidente che la richiesta pro-competitiva è andata clamorosamente contro l’efficienza e la sicurezza.

Altro esempio è il consolidamento dell’industria della difesa, essenziale per ridurre duplicazioni e sprechi, ma difficile da ottenere da paesi e imprese. L’esperienza della messa in opera del mercato unico ci suggerisce di partire dal successo di un obiettivo più facile, come sospendere la normativa Esg e “banca etica” per i finanziamenti Bei e banche ai progetti militari; per poi passare al consolidamento, magari adottando la pratica del Pentagono che al vincitore di alcune commesse nell’aeronautica militare impone di farne eseguire una parte al suo competitor per garantire la concorrenza futura.

Una nuova politica della concorrenza e degli aiuti di Stato dovrà essere articolata per far crescere le imprese innovative alla scala necessaria. Accettare una taglia d’impresa efficiente per il mercato globale non equivale a tollerare la formazione di monopoli. Anche le Big Tech sono in crescita e competono tra di loro. Prima che arrivi la sentenza dell’antitrust di break up, l’IA gen. avrà già rosicchiato buona parte del predominio di Google nella search. Per incentivare le startup o Tech pirates come vengono chiamati, un ecosistema efficiente deve essere messo in atto: i paesi membri dovranno attuare una regolamentazione e politica fiscale coerente per l’aumento della domanda dei beni incentivati- pensiamo alla gelata della produzione di batterie in Europa quando gli investitori si sono accorti della mancata crescita della domanda per veicoli elettrici, non sostenuta da infrastrutture e incentivi adeguati. Se le nostre imprese competitive si aspettano un sostegno coerente a livello europeo o nazionale, non avranno fretta di vendersi al miglior offerente né di spostarsi negli Stati Uniti.

Ecco cosa rimane di quello che dice Mario Draghi. L'analisi di Bartoli

Di Gloria Bartoli

Resta ancora qualcosa da dire oltre le 400 pagine del piano Draghi? Sì, perché le pubblicazioni istituzionali non possono criticare apertamente gli errori del passato portando esempi salienti. E perché tutti alla fine della lettura ci chiediamo come metterlo in atto. L’analisi di Gloria Bartoli, docente ed economista, membro del Gruppo dei 20

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