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Nel dibattito attuale sulle migrazioni non siamo ancora giunti a definire in modo del tutto compiuto la sostanza del problema: si tratta di una sostanziale parte della visione bipolare della politica o di una questione per sua natura non ascrivibile proprio nella visione bipolare della politica?

Alla luce della visione bipolare, infatti, si tende a contrapporre la cultura dell’accoglienza con la affermazione del respingimento dei migranti quasi che si tratti di due modi radicalmente diversi di affrontare i temi delle migrazioni in termini di radicale alter natività.

Al contrario si tratta di due visioni che soltanto in termini estremistici possono essere considerate espressione di una cultura bipolare.

La cultura dell’accoglienza – infatti – non intende in alcun modo non fare i conti anche con le potenzialità economico – sociali delle località nelle quali i soggetti che si avvalgono appunto di una cultura dell’accoglienza entrano a far parte.

La distinzione di fondo che pian piano sta finalmente emergendo tra rifugiati da un lato ed immigrati cosiddetti economici dall’altro sta ponendo infatti in evidenza proprio la distinzione tra i primi che sono portatori di un vero e proprio diritto all’accoglienza e i secondi, che si vedono riconosciuta come legale una aspirazione a condizioni di vita complessivamente migliori soltanto alla luce proprio delle diverse potenzialità economico-sociali delle comunità di arrivo.

La cultura del respingimento – a sua volta – non può tradursi nel rifiuto persino della salvaguardia fisica delle persone che cercano aiuto, perché il respingimento significa con tutta evidenza che la persona o le persone da respingere abbiano già superato l’accertamento della natura delle ragioni della emergenza alla quale esse hanno dato vita.

Sta proprio in questa differenza tra la normalità per così dire economico-sociale dell’accoglienza e l’emergenza anche fisica delle persone che appartengono in via generica alla soggettività dei migranti.

Le più recenti decisioni della cancelliera Angela Merkel hanno infatti con molta evidenza e certamente con qualche sorpresa posto in chiaro che si tratta di accogliere anche in via di integrazione i rifugiati in quanto tali e non anche quanti provengono da Paesi dai quali non vi è motivo specifico di fuggire.

Il contesto europeo sta pertanto facendo i conti proprio con la difficile composizione di queste due strategie: l’una tendente anche ad una prospettiva di integrazione sociale ed economica, mentre l’altra sembra prevalentemente interessata al respingimento di quanti non hanno il diritto a cambiare luogo di residenza.

Viene in evidenza in questo contesto un quadro molto stimolante di rapporto tra l’appartenenza generale all’umanità – che sembra privilegiare la cultura dell’accoglienza in quanto tale – o l’appartenenza ad una qualche specifica cittadinanza che costituisce invece la base anche giuridica di un respingimento.

Il contrasto tra universalità da un lato e cittadinanza dall’altro non è per nulla nuovo nella storia dell’umanità, e costituisce in particolare una specifica ragione delle difficoltà anche storicamente concrete che si stanno affrontando nei diversi Paesi dell’Unione europea.

I Paesi infatti nei quali anche per tradizione religiosa è presente un fondamento umanitario universale la linea strategica dell’accoglienza tende a prevalere su quella del respingimento.

I Paesi al contrario nei quali la questione della cittadinanza ha rappresentato un punto di arrivo sostanzialmente coincidente proprio con quello dell’identità nazionale tendono a loro volta a far prevalere – anche a prescindere dalle radici universalistiche religiose loro proprie – la cultura del respingimento.

Siamo pertanto in presenza di un intreccio molto delicato tra un apparente bipolarismo che contrapporrebbe l’accoglienza al respingimento e la realtà anche geopolitica che pone in evidenza la complessità delle strategie politiche necessarie per affrontare il tema delle migrazioni in termini di attualità storico concreta e non soltanto di ideologia astratta.

Occorre pertanto aver ben presente che una linea rigorosamente bipolare presuppone una sostanziale estremizzazione dell’una e dell’altra cultura di fondo.

Anche in questo caso sembra pertanto prevalere una logica centrale (ma non centrista) e non una logica bipolare.

migranti confini

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