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Per la Legge di Stabilità il sentiero è ripido: c’è in ballo, ancora una volta, l’obiettivo di iniziare a ridurre finalmente, dopo otto anni di crescita inarrestabile, il rapporto debito/Pil. Era il 2007 quando si interruppe il processo di riduzione del debito che durava ininterrottamente dal 1994. Durante gli anni della crisi, tutti i governi ci hanno costantemente promesso che l’anno in corso sarebbe stato l’ultimo a farci toccare il picco del debito, prima della svolta. Vale anche per il prossimo anno: nel 2016, dopo il nuovo record di quest’anno con il 132,5%, si dovrebbe scollinare, ritornando al 130,9%. C’è tutto un percorso di aggiustamenti ancora da compiere, per raggiungere il traguardo nel 2018, quando il rapporto debito/Pil dovrebbe essersi ridotto in linea con le regole europee, abbassandosi al 123,4%. Questo è il nodo più delicato della manovra in preparazione a via XX Settembre.

Al primo annuncio di un programma rivoluzionario di tagli alle imposte, per 45 miliardi in tre anni, con la prima tranche già l’anno prossimo finalizzata alla eliminazione della Tasi sulla prima casa (3,8 mld), dell’Imu sui macchinari nei capannoni e sui terreni agricoli (1,6 mld), sono seguite ullteriori novità in materia previdenziale, per rendere più flessibili le regole per i pensionamenti. La regola dell’aggiustamento strutturale dello 0,5% annuo, fino ad arrivare almeno al pareggio, sempre strutturale, è volta ad assicurare il rispetto della regola del debito da parte dei Paesi che superano il rapporto del 60% sul Pil. L’obiettivo del pareggio è stato rinviato di anno in anno: era stato richiesto all’Italia addirittura nel 2011, con la famosa lettera agostana a doppia firma, Draghi-Trichet, anticipando al 2012, l’obiettivo che il Fiscal Compact avrebbe disposto per tutti i Paesi dell’Eurozona solo a partire dal 2013.

Anche quest’anno c’è stato uno slittamento, spostandolo dal 2016 al 2017: in considerazione delle condizioni economiche particolarmente avverse in cui l’Italia si era venuta a trovare fino all’anno scorso, il Governo Renzi è riuscito a mantenere nel 2015 un saldo strutturale dello 0,5% del Pil, mentre la correzione dell’1% effettuata con l’ultima Legge di Stabilità, ha fatto sì che il saldo strutturale del 2016 sia ancora negativo dello 0,4%. Questa è la correzione di 7 miliardi di euro che era prevista per il 2016.

Quest’anno, nonostante il saldo strutturale sia solo del -0,4% del Pil, l’indebitamento è stato del 2,6%: la differenza dipende dalla congiuntura economica negativa. Poiché il Pil reale dovrebbe crescere dello 0,7%, mentre in termini nominali dell’1,4%, il rapporto debito/pil cresce di conseguenza. Nel 2016, secondo l’ultimo Def, il Pil reale dovrebbe aumentare dell’1,4% mentre quello nominale del 2,6%. Se l’indebitamento scendesse all’1,8% del Pil, anche il rapporto debito/Pil finalmente migliorerebbe, contraendosi dell’1,6%.

Anziché una ulteriore manovra restrittiva per 7 miliardi, la detassazione degli immobili comporta un fabbisogno di 5,4 miliardi di euro. Inoltre, ci sono da sminare le clausole di salvaguardia contenute nelle Leggi di Stabilità per il 2014 e per il 2015: 12,8 per evitare l’aumento dell’Iva e 3,3 miliardi quello delle accise. Altri 5 miliardi tondi servono per la reindicizzazione delle pensioni, lo sblocco del contratto degli statali, la cancellazione della Robin Tax e della reverse charge dell’Iva per la grande distribuzione, e per la proroga della decontribuzione a favore dei neoassunti.

Ci sono precise indicazioni sulla intenzione del governo di mettere mano alla erosione delle basi imponibili: nel decreto delegato della riforma tributaria, presentato per il parere delle Camere, sul monitoraggio delle spese fiscali ed il coordinamento con le procedure di bilancio, si prevede che la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza sia corredata da un rapporto programmatico volto a ridurre o riformare le spese fiscali ingiustificate, superate dalla nuova situazione sociale ed economica, ovvero le spese fiscali che risultino avere le medesime finalità di programmi di spesa esistenti. Il programma annuale di riordino delle spese fiscali viene attuato con la manovra di finanza pubblica.

Già la Commissione Vieri Ceriani, alla fine del 2011, aveva fatto un censimento completo di queste misure la stima del costo per l’Erario della erosione della base imponibile, che arriverebbe a 253 miliardi di euro per il complesso delle tipologie di esenzione. La Corte dei conti, nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica relativo al 2014 ha elaborato una tabella da cui si evince che le classi di reddito più elevate, oltre i 70 mila euro, beneficiano pochissimo della riduzione della aliquota legale dell’Irpef: appena il 2/3 %. Per i redditi tra i 26 mila ed i 50 mila euro, i vantaggi salgono al 5/7 %. Al di sotto, i vantaggi arrivano al al 14/18 %, con punte del 23% per la “no tax area”.

E’ probabile che la manovra per il 2016 avrà due gambe ben distinte: la riduzione delle tasse immobiliari, da una parte; la riduzione delle agevolazioni fiscali dall’altra. E’ un programma che si scontrerà con le ovvie diffidenze di Bruxelles: sulla necessità di ridurre il debito non mollerà: l’odiata tassa sulla prima casa sarà più che compensata dalla riduzione delle altre agevolazioni: le sorprese arriveranno a luglio, con la presentazione delle dichiarazioni dei redditi.

Intanto bisogna seminare, per raccogliere al più presto. Al massimo in primavera: tutto già profuma, di elezioni.

Tutti i veri nodi della finanza pubblica

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