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A due settimane dagli omicidi di Parigi un’altra donna italiana è stata assassinata mentre cercava di difendere la vita dei suoi cari, in una rapina nell’alloggio che divideva con loro ed altri medici italiani.

Si chiamava Rita Fossaceca, medico di valore, affermata in un settore delicato e di prestigio come quello della radiologia interventistica, di cui era dirigente nell’Ospedale Maggiore di Novara. Sono poche le donne che operano in questo settore della medicina perché sono richieste competenze peculiari e doti non comuni che uniscono la radiologia alla chirurgia. E il valore di Rita, soprattutto in questo, era riconosciuto da tutti.

L’avevo incontrata anni fa partecipando a corsi di aggiornamento specialistici che periodicamente hanno luogo nelle università; ricordo il tatto e la gentilezza con cui svolgeva il ruolo di docente nel rivolgersi a colleghi più anziani, in quell’occasione discenti.

Nel 2006 aveva fondato l’Onlus “Prolife” con il suo direttore Alessandro Carriero; insieme avevano preso in carico un orfanotrofio nell’entroterra di Malindi nel quale lavoravano, spendendo denaro e tempo libero, anche medici dell’Ospedale di Novara. Rita è morta quasi al termine di un periodo di missione, uno dei tanti che trascorse in quei luoghi. Come in altre occasioni, lì aveva passato le sue ferie, questa volta accompagnata dai genitori e dallo zio sacerdote, messi al lavoro per ottemperare a mansioni: la madre come sarta, il padre come operaio tuttofare, lo zio per l’assistenza spirituale, la formazione religiosa e le celebrazioni eucaristiche. E lì è morta, eroicamente, per difendere i genitori da aggressori che non hanno esitato a uccidere le persone che erano in quel posto per il loro bene.

Io ricordo una donna minuta, mite ma tenace, capace di ricoprire un ruolo di prestigio universitario, ma insieme di svolgere assistenza anche nelle più semplici necessità, senza disdegnare compiti infermieristici e di provvedere alle necessità quotidiane di sussistenza.

Viene la tentazione di confronto tra queste onlus autofinanziate da cittadini italiani che non cercano notorietà e potere, sacrificando per queste missioni tempo da dedicare al riposo e denaro, e altre, di preciso colore politico ed enorme risalto mediatico, come Emergency. E vale anche la pena riflettere su situazioni ben diverse, anche del recente passato, di cooperanti ingenue e impreparate, se non mosse da motivazioni diverse da quelle dichiarate, che per il loro imprudente comportamento hanno determinato impegni gravosi per essere riportate a casa. Come diverso il ruolo di Rita, medico affermato e di successo, capace di scrivere su riviste internazionali e di svolgere il ruolo di docente nei “workshop” specialistici  e poi, con lo stesso impegno, medicare un bambino ferito, curare gli “orecchioni” e acquistare una mucca incinta per avere il latte per i bambini.

E  poi come non ricordare l’impegno economico spontaneamente assunto da lei e dai suoi colleghi di onlus e le garbate richieste di aiuto che rivolgeva a noi colleghi meno generosi e impegnati, chiedendoci magari di dedicare alla sua onlus il 2/1000.

Noi che l’abbiamo incontrata e seguito le sue attività, sia scientifiche che umanitarie, siamo certi che Rita rimarrà, nei nostri cuori e nel ricordo di tanti che di lei sono venuti a conoscenza solo dopo l’estremo sacrificio.

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