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Uno scenario in chiaroscuro quello che riguarda il sostegno alle nuove imprese nel nostro Paese. “In Italia siamo molto concentrati a livello di sostegno alla nascita e allo sviluppo delle imprese su categorie considerate più bisognose di accompagnamento, ma anche su persone che hanno lasciato il mondo del lavoro volontariamente o meno. Non bisogna fare solo accompagnamento finanziario ma anche formativo agli imprenditori nella loro creazione d’impresa” ha spiegato Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Invitalia, intervenendo all’evento “Un Paese che osa? L’imprenditorialità come risorsa per l’Italia” nel corso del quale è stato presentato il rapporto Global entrepreneurship monitor Italia, Gem 2023-2024 presso la sede romana di Unioncamere. Come ha ricordato l’ad “spesso non hanno le competenze necessarie a gestire il rapporto con il sistema bancario, anche se sono tecnicamente molto preparati. Inoltre,” – ha concluso – “c’è un atteggiamento del mondo universitario troppo accademico. L’Italia è indietro rispetto al resto dell’Europa, dobbiamo fare un passo in avanti”.

Il rapporto Global entrepreneurship monitor, importante iniziativa nel contesto dell’analisi dell’imprenditoria a livello internazionale, avviata nel 1999 e coordinata dal 2023 col sostegno dell’Universitas Mercatorum – parte del gruppo Multiversity – e del Centro per l’innovazione e l’imprenditorialità dell’Università Politecnica delle Marche, ha gradualmente coinvolto oltre cento Paesi, diventando un pilastro nel monitoraggio e nella comprensione dell’attività imprenditoriale su scala globale.

Nel corso del 2023, questa ricerca ha toccato 46 Paesi, raccogliendo dati preziosi attraverso interviste dirette a oltre 100mila individui e ad altri duemila testimoni chiave, offrendo così un quadro dettagliato e articolato del panorama imprenditoriale. Il suo valore risiede non solo nella vastità dei dati raccolti, ma anche nell’analisi approfondita che offre. Attraverso l’esame attento dei fattori che influenzano la propensione imprenditoriale, il rapporto cerca di gettare luce sulle motivazioni e sulle barriere che possono influire sulla decisione di avviare nuove imprese. Questo approccio mira a colmare il divario tra l’intenzione imprenditoriale e l’effettiva realizzazione di nuovi progetti, fornendo così una visione più chiara delle dinamiche che modellano il tessuto imprenditoriale nazionale.

PROPENSIONE IMPRENDITORIALE

Il rapporto è stato presentato da Alessandra Micozzi, professoressa ordinaria di Economia applicata e preside della facoltà di Scienze della società e della comunicazione presso l’Universitas Mercatorum, e Donato Iacobucci, professore ordinario di Economia applicata presso l’Università Politecnica delle Marche. “Il tema dell’imprenditorialitá ci sta particolarmente a cuore”, ha commentato Iacobucci. “Non solo l’Italia ha un tasso di attivazione imprenditoriale tra i più bassi in Europa, ma nell’ultimo decennio abbiamo avuto un calo a livello di attivazione di nuove imprese, passate da 400mila a 300mila. Questo dato potrebbe non essere interpretato in maniera preoccupante. Si sono ridotte le piccole e medie imprese, ma l’occupazione nelle grandi imprese è cresciuta. Questo spiegherebbe anche i minori tassi di occupazione.”

UN PAESE CHE OSA

Il Global entrepreneurship monitor raccoglie in un’analisi comparativa con gli altri Paesi temi sui quali bisogna conoscere per decidere, come finanza, politiche di governo, trasferimento tecnologico, aspetti culturali e sociali, formazione” ha dichiarato il magnifico rettore dell’Universitas Mercatorum Giovanni Cannatal. Il rettore ha individuato due aspetti centrali dell’analisi Gem, “la questione dei giovani e della formazione in un Paese che osa perché cambia e cambia osando, e l’attenzione a un dato quale la cultura della produzione materiale, alla merce, ai beni rispetto ai quali siamo in presenza di processi di decentramento. Non ci sarebbe alcun Made in Italy se il Paese non avesse osato, se non avesse capito che dopo gli eventi bellici si doveva ripartire”.

LA DIFFICOLTÀ ITALIANA

“Fare impresa è difficile in Italia” – ha affermato Giorgio De Rita, segretario generale Censis – “solo il 20% degli italiani pensa sia facile. Questo perché abbiamo scaricato le difficoltà strutturali incontrate negli ultimi anni sul fare impresa. Se guardiamo ai salari, il nostro Paese è quello in cui sono cresciuti di meno negli ultimi 20 anni. Oggi fare impresa è più difficile che 30 anni fa per i fattori di contesto, ma il Paese ha scaricato su impresa e lavoro le proprie difficoltà strutturali. Abbiamo resistito a tutte le crisi, ma non abbiamo sostenuto l’attività imprenditoriale in maniera sufficiente”.

IL VALORE DEL CAPITALE UMANO

Uno dei pilastri fondamentali per promuovere l’imprenditorialità è il capitale umano. “L’Italia è indietro rispetto alla media europea, investiamo molto poco in capitale umano e siamo sotto la media dei Paesi Ocse”, ha dichiarato Stefano Scarpetta, Direttore per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. “Un altro punto centrale della questione è che manca il dialogo tra università e mondo del lavoro, quindi i ragazzi non vengono stimolati a fare impresa”, ha continuato. “Tra i giovani c’è una maggiore paura del fallimento: il 45% dei giovani italiani è avverso al rischio, contro il 39% europeo. In un modello come quello americano la non riuscita fa parte del curriculum. In Italia è la fine di una possibile esperienza imprenditoriale. Tutti temi fondamentali per creare un contesto che sia favorevole a fare impresa. Bisogna mettere mano al mondo dell’istruzione e fare una riflessione seria su come agire per migliorare il capitale umano necessario a rilanciare la capacità dei giovani di fare impresa”.

RITORNO AL 2019

“L’Italia, dove il piccolo imprenditore è stato artefice della crescita del Paese, si trova negli ultimi posti del rapporto Gem”, ha spiegato Claudio Gagliardi, vice segretario generale dell’area Formazione e Politiche attive del lavoro di Unioncamere. “Nel 2023 abbiamo inserito 35mila nuove imprese all’interno del sistema Excelsior. Negli ultimi 5 anni, tolte dalle iscrizioni le imprese inattive e quelle dell’agricoltura, abbiamo avuto 178mila registrazioni, di cui 143mila effettive nuove imprese. Questo dato è abbastanza stabile negli ultimi anni, nel 2023 siamo tornati ai livelli del 2019”.

UNA FORMAZIONE AD HOC

“Definirei il rapporto Gem deflagrante”, ha affermato Donatella Visconti, consigliere indipendente di Monte dei Paschi di Siena. “Questo perché sono venuti fuori dei dati sopiti, presenti da tanto ma mai rilevati, che mostrano più imprese di soggetti adulti che di giovani. Anche perché gli adulti hanno più facilmente accesso a servizi di credito bancari. Il sistema del credito è cambiato, si è irrigidito a livello europeo, e quello italiano è fatto di micro imprese che hanno subìto il cambiamento regolatorio che ha obbligato le banche a ridurre la propria presenza sul territorio. Il piccolo imprenditore italiano si è trovato di fronte al cambiamento, dovendo acquisire competenza formativa sull’attività creditizia. I nuovi imprenditori hanno dai 50 anni in su e più del 50% è laureato e, rappresentando oggi il nostro futuro, dovrebbero essere formati on the road, anche con attività di tutorship più moderna e dinamica. Tutto questo richiede una formazione ad hoc perché l’imprenditore sia in grado di pianificare la propria impresa in maniera adeguata”, ha concluso.

Un Paese che osa? Il rapporto Gem sull'imprenditorialità in Italia

Attraverso l’esame attento dei fattori che influenzano la propensione imprenditoriale, il Global entrepreneurship monitor mira a colmare il divario tra l’intenzione imprenditoriale e l’effettiva realizzazione di nuovi progetti, per una visione più chiara del tessuto imprenditoriale nazionale. Questi i temi al centro della presentazione del rapporto Gem Italia 2023-2024

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