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Dopo l’attacco jihadista a Parigi, la Francia ha deciso di intensificare il proprio impegno in Siria e Iraq, dando il via a un coordinamento delle attività militari e d’intelligence con la Russia. La mossa, vista dall’Eliseo, è resa necessaria dal cambio di passo che i drappi neri hanno dimostrato di aver compiuto proprio con gli attacchi che hanno insanguinato la capitale francese. Da allora le minacce degli uomini di Abu Bakr Al Baghdadi si sono moltiplicate e coinvolgono sempre più spesso anche l’Italia.

Che evoluzione sta avendo l’Isis? Qual è il suo rapporto con l’altro, grande network del terrore, Al Qaeda? Che conseguenze avrà la collaborazione tra François Hollande e Vladimir Putin? E, soprattutto, cosa rischia l’Italia che, per il momento, ha scelto di non partecipare ai bombardamenti contro il “Califfato”?

Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Lorenzo Vidino, docente e direttore del Programma sull’estremismo presso il Center for Cyber and Homeland Security della George Washington University.

Quali sono le principali differenze tra Isis e Al Qaeda emerse anche dalle stragi di Parigi?

Non molte. Non ce n’erano prima e non ce ne sono adesso. Sono due gruppi che hanno gli stessi obiettivi, li definirei quasi analoghi in tutto, anche nelle modalità di esecuzione, nelle rivendicazioni e nella scelta dei target. C’è qualche differenza tattica, ma niente di rilevante. In questo ricordano molto i gruppi di estrema destra e sinistra dell’Italia degli anni ’70. Avevano qualche diversità ideologica, ma nei fatti agivano allo stesso modo. Anche in questo caso non ci vedo grandi differenze. Ad esempio, qualche anno fa un gruppo armato algerino nell’orbita qaedista aveva condotto più o meno la stessa azione, con attacchi sincronizzati contro civili. Forse siamo solo sorpresi che ciò sia accaduto in Europa.

Alcuni osservatori ritengono che nell’occasione le due organizzazioni abbiano collaborato e che, addirittura, possano convergere in un unico gruppo terroristico.

Lo escludo. Isis è nata da una costola di Al Qaeda. E ora sono due gruppi in forte competizione. Hanno un rapporto fatto di gelosie e concorrenza. Non penso abbiano collaborato a Parigi. Certo, non si può escludere che ciò sia avvenuto in passato contro obiettivi comuni singoli e occasionali, ma non c’è una partnership e tantomeno ci sarà una fusione. Anzi, il rischio più grande è che ora Al Qaeda mediti un’azione di pari intensità per riprendersi la scena.

Come si può davvero sconfiggere l’Isis?

Serve innanzitutto un’azione militare più forte, che finora non c’è stata. Una forza di terra decente, che affianchi chi è già sul terreno. Diciamo la verità, non servirebbe far troppo per abbattere il gruppo. Il problema più grande resta l’assenza di una soluzione politica per il post Isis. Cosa succederà a quei due territori una volta che lo Stato Islamico fosse sbaragliato? Difficile tornare indietro. I gruppi locali e le grandi potenze, ancora troppo divise da obiettivi strategici diversi, devono prima sciogliere questi nodi. Solo allora ci sarà l’equilibrio necessario a riportare la situazione alla normalità. Per il momento questo scenario mi sembra, purtroppo, molto lontano.

Nel frattempo la Francia ha deciso di unirsi alla Russia e non aspettare ulteriormente un impegno massiccio della coalizione a guida americana.

Barack Obama ha fatto una scelta che ha molto a che vedere con la politica interna. Vuole che la sua legacy sia quella del presidente che ha tirato fuori gli Usa dalle guerre. Difficile che cambi tutto nei prossimi 12 mesi, tanto più con una campagna elettorale in corso. Solo un altro attentato di grandi proporzioni su suolo americano potrebbe fargli cambiare idea.

Ma come viene vista da Washington l’alleanza franco-russa, in un momento non facile per le relazioni tra Mosca e l’Occidente?

Gli Usa sono combattuti. Il dibattito, anche ad alti livelli, mostra che da un lato l’America è ancora culturalmente legata all’idea della Guerra fredda; dall’altro c’è chi crede che serva maggiore pragmatismo, lasciando fare ai russi quel che oggi Washington non sente di fare. C’è una valutazione, infatti, che accomuna tutti, almeno nell’opinione pubblica: nessuno ha voglia di iniziare una nuova guerra.

L’Italia per il momento ha deciso di non affiancare Francia e Russia, nonostante l’appello di François Hollande ai Paesi occidentali. Questo eviterà che l’Isis compia attentati in Italia?

Non penso. Nei proclami jihadisti degli ultimi giorni Roma c’è sempre. L’Italia non è poi così in seconda fila nel contrasto ai drappi neri, anzi ha un coinvolgimento diretto. Ha già suoi soldati in zona, con funzioni addestrative e fornisce vario materiale. Forse non bombarderà, ma non bisogna dimenticare che Roma ha anche una connotazione fortemente simbolica per gli estremisti islamici.

Qualcuno ha proposto di fare con i jihadisti un accordo simile al Lodo Moro, il patto per tenere l’Italia al riparo dalle bombe palestinesi.

Mettendo pure da parte ogni valutazione di natura etica, ciò sarebbe impossibile. Il mondo jihadista non ha una leadership centralizzata e non è un attore razionale. Per assurdo, anche prendendo accordi col “califfo” Al Baghdadi, ciò non eviterebbe che qualche lupo solitario possa decidere di compiere azioni eclatanti, magari con l’obiettivo di compiacere proprio il suo capo.

Perché anche l'Italia è nel mirino dell'Isis. Parla Vidino

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