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Parigi, sfregiata e sanguinante, suo malgrado è da ieri la capitale dell’Europa in guerra. Non le si addice, ma il destino ha deciso per lei. Ha sempre aperto le braccia a tutti e non immaginava che l’accoglienza, generosa e gioiosa, si tramutasse in un’arma letale nelle mani dei suoi nemici accuditi nel nome della fraternità. Non lo immaginavamo neppure noi. Per le sue strade abbiamo incontrato popoli appartenenti a culture diverse che non hanno faticato ad acclimatarsi nel cuore di una città gentile. Invece è accaduto. Parigi non sarà mai più la stessa. La paura che sembrava svanita dopo le stragi del gennaio scorso, questa volta la si vede appiccicata ai muri, davanti ai bistrot, sistemata nei locali di svago, negli uffici, nei sotterranei della metropolitana, sulle rive della Senna dove i vecchi bouquinistes sono tentati di gettare in acqua i loro libri. Ho sentito al telefono vecchi amici ed ho faticato a riconoscere le loro voci: gli è stata portata via la serenità, ma un bicchiere insieme lo berremo comunque tra pochi giorni. Alla salute di quella Parigi che non c’è più, mi dice un ristoratore a cui solo qualche settimana fa avevo dato appuntamento alla fine di di novembre.

Già, non c’è più la gioia di vivere. La guerra se l’è portata via insieme con le menzogne e le ipocrite rassicurazioni di politicanti improvvisati, con le finzioni di una diplomazia europea balbettante di fronte alla sfida di delinquenti avvezzi a profanare il nome di Dio. Resta il terrore di un altro attacco. Bisognerà vedere quando e dove colpiranno i miliziani che hanno ritrovato il nemico che li ricacciò nelle loro tane addobbate di negazioni ed idiosincrasie, ricche di bottini molto poco spirituali. Poitiers, Lepanto, Belgrado, Vienna e poi la fuga da Costantinopoli quando il loro mondo crollò definitivamente agli inizi del secolo scorso. Per cento anni non hanno avuto altro scopo di riprendersi ciò che considerano loro. Hanno aperto il capace sacco dei risentimenti e gli assassini di professione, sconfessando la loro stessa gente, hanno tentato ancora l’affondo per adesso riuscito.

“Sottomissione”, si invoca dalle parti della Cecenia domata, nel Califfato caucasico mancato, nella Siria martoriata. Si brinda con il sangue dei francesi nei postriboli di Abu Bakr al-Baghdadi. E l’Europa si guarda intorno attonita, incapace di ritrovare le sue energie perdute. Chissà se nei piani alti dell’Unione, dove si amministrano mercanzie e si fanno affari con tutti, anche con gli Stati che armano i terroristi, qualcuno avverte dentro di sé la responsabilità di quanto è accaduto. Se è fuori discussione quella dei nemici, infatti, non sembra che quella dei loro “utili idioti” sia universalmente accettata. Ci piacerebbe sapere se l’Occidente è diventato più o meno sicuro dopo l’11 settembre di quattordici anni fa; se le stragi da allora sono diminuite; se i santuari del terrore sono stati sgominati; se il mondo è un po’ più in pace…
Ma cosa dovrebbero rispondere i tenutari dei bordelli internazionali dove si fabbricano teorie geopolitiche ad uso e consumo di disturbati mentali in abiti carnevaleschi capaci di usare sofisticati armamenti, di soggiogare interi Paesi, di praticare violenze aberranti ai danni di popolazioni inermi? Una onesta ammissione di incapacità sarebbe gradita dopo anni e vite umane perdute tra l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Somalia, la Nigeria, la Libia, l’Egitto, la Tunisia e dovunque sono fiorite primavere maleodoranti. E invece niente. Neppure un segno di resipiscenza.

La Francia è sotto attacco, è stato scritto. Non è vero. E’ all’Europa che viene mossa la guerra senza neppure dichiararla. E il cosiddetto “mondo libero” fatica ad accettare la condizione di soggetto passivo precipitato nel più torrido dei conflitti asimmetrici. Il nemico è ovunque e da nessuna parte. Sbrogliare questo intrigo non sarà facile perciò la Francia ha paura ed il resto dell’Europa teme il contagio. Dove si manifesteranno i satanici jihadisti? A Londra, Roma, come si dice dalle parti del Califfato? Nel Mediterraneo, già cimitero di povericristi, si colgono sinistri bagliori. E non è detto che l’incendio non divampi sulla sua sponda meridionale tra i fedeli “apostati”. E’ la logica del terrore, dei senza Dio che continuano ad uccidere nel nome di Dio. Blasfemi di professione.
Intanto Parigi consuma la sua rabbia piangendo i morti d’autunno. Le foglie ingiallite sui boulevard sono il malinconico tappeto sul quale cammina con passo incerto la fragile vita di tutti i giorni, ma non come gli altri giorni. I “domani che cantano” sono lontani. E pure i poeti sono ammutoliti.

Benvenuti a Parigi, tra blasfemi di professione e poeti ammutoliti

Parigi, sfregiata e sanguinante, suo malgrado è da ieri la capitale dell'Europa in guerra. Non le si addice, ma il destino ha deciso per lei. Ha sempre aperto le braccia a tutti e non immaginava che l'accoglienza, generosa e gioiosa, si tramutasse in un'arma letale nelle mani dei suoi nemici accuditi nel nome della fraternità. Non lo immaginavamo neppure noi.…

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