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La prima riflessione, a caldo, dopo gli attacchi terroristici a Parigi è la paura. Paura che possa accadere di nuovo, magari a casa nostra, una paura che ci fa richiudere in noi stessi. Scontiamo, tuttavia, il fatto che noi europei siamo terribilmente ignoranti: non sappiamo cosa accade a poche ore di aereo dai nostri confini, addirittura ad un bracco di mare dalla Sicilia. Decapitazioni, kamikaze e lotte tribali entrano in un frullatore dal quale esce poco o nulla. Uno dei risultati di questa situazione è che rischiamo di non capire il fenomeno in corso e di soccombere alla reazione indiscriminata contro un fantomatico “Islam”. Le deprecabili prove di questa reazione di pancia o spacciata per tale – la copertina di Libero è paradigmatica, da questo punto di vista – sono la migliore risposta che il fanatismo attende. Non si tratta di invocare un appeasement, quella che di fronte al nazismo si rivelò una drammatica forma di debolezza. Si tratta di capire che il movimento criminale (i movimenti, meglio) di fanatici ammantati di religione sono i nemici di tutti, indipendentemente da nazionalità o credo. Il patrimonio di civiltà di cui l’Europa, con tutti i suoi difetti, è custode, vede nella Francia il suo epicentro: rinunciare a quei principi che sono una conquista dell’umanità sarebbe una grave sconfitta, morale prima che politica e militare. Si tratta allora di negare l’evidenza? No affatto. Ha ragione il Presidente francese quando parla di atto di guerra: è una guerra che va avanti da anni contro uno stile di vita che per molti è odioso. La libertà delle donne e degli uomini, la libertà di pensiero e di dissenso, la libertà dei costumi e delle opinioni è un qualcosa di intollerabile per chi immagina uno stato totalitario di dimensione globale. Difficile capire i perché. Ma quel che conta ora è ricordare chi siamo: e che, anzi, la libertà non è una conquista duratura, ma può vacillare. Quei maledetti colpi di kalashnikov che hanno ammazzato più di cento persone, a dispetto della loro etnia o religione, non ce li dobbiamo dimenticare. E, allo stesso tempo, non dobbiamo perdere il lume della ragione, quel lume fra i lumi che la Francia ha donato alla civiltà moderna. Far levare i jet e sterminare l’Isis, come chiede un alto rappresentante delle Istituzioni Italiane, al di là della sua perfetta improprietà, è l’esempio di scuola della reazione che si aspettano i fanatici d’ogni risma. È un quadro terribilmente complicato che fa tremare i polsi, in cui entra, a forza anche l’emergenza migrazione: inutile negare che il solo pensiero che qualcosa del genere possa accadere in Italia è terrorizzante, soprattutto in vista del prossimo Giubileo. Ed è un quadro di cui ignoriamo la complessità, nel quale giocano elementi religiosi, economici, geopolitici. In questo momento occorre essere consapevoli che uno Stato democratico ha la forza per difendersi e reagire, salvaguardando i propri valori. Ne ha la forza militare e di ordine pubblico, come quella dei propri valori fondanti. Ma non dimentichiamo che aldilà di ogni recinto o muro la partita è globale, e che a livello globale va giocata, in ogni possibile arena e con ogni possibile partner che rifiuti il terrorismo. Il resto è fuffa.

I nemici di tutti

La prima riflessione, a caldo, dopo gli attacchi terroristici a Parigi è la paura. Paura che possa accadere di nuovo, magari a casa nostra, una paura che ci fa richiudere in noi stessi. Scontiamo, tuttavia, il fatto che noi europei siamo terribilmente ignoranti: non sappiamo cosa accade a poche ore di aereo dai nostri confini, addirittura ad un bracco di…

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