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Gli incontri per definire i contenuti del Ttip, il Trattato transatlantico su commercio e investimenti che punta a creare una zona di libero scambio, così come le contestazioni, sono entrati nel vivo. È quindi il momento giusto per approfondire il tema, evitando i pregiudizi e cercando di avere un approccio positivo, perché il Ttip è una grande opportunità per sostenere le produzioni e le esportazioni italiane. Così come avrà un significato politico, perché dovrà essere approvato dal Parlamento europeo e ratificato dalle assemblee nazionali.

Ci sono quindi ragioni urgenti per firmare questo accordo: l’economia europea deve mantenersi concorrenziale e dobbiamo esplorare ogni opportunità in grado di aiutare la ripresa, dando ossigeno alle imprese e sostenendo, cosa fondamentale, l’occupazione. Come ha ricordato in più occasioni il membro della commissione agricola dell’Ue Paolo De Castro, grazie al Ttip saranno rimossi ostacoli tecnici e regolamentari con effetti positivi per molti settori: soprattutto l’agroalimentare, in particolare quello italiano, perché dopo quelli tedesco e francese, il mercato statunitense con il 9 per cento è la terza destinazione delle nostre esportazioni nel settore, per un totale di 3 miliardi, che ci vede al primo posto per vino, olio, formaggi, salumi e prosciutti.

Come dimostra una recente ricerca di Nomisma, la “richiesta” di prodotti alimentari italiani è in forte crescita negli Usa (dal 2003 al 2013 è aumentata del 54 per cento). Inoltre il Ttip ci permetterebbe anche di tutelare le nostre produzioni agroalimentari dal fenomeno dell’imitazione: negli Stati Uniti il business dei prodotti made in Italy taroccati è di circa 20 miliardi. Il tutto senza mettere in pericolo la sicurezza alimentare: il principio di precauzione non verrà toccato e non saranno commercializzati prodotti che non passeranno la verifica sulla nocività o meno per la salute. E il Ttip non toccherà le regole che l’Ue si è data in materia di Ogm e carne agli ormoni.

Le cifre dell’export italiano verso gli Usa confermano che è necessario firmare l’accordo con gli Usa: solo prendendo in esame il primo semestre 2015, le esportazioni italiane sono aumentate del 27,5%. Per quanto riguarda la regione Emilia-Romagna, il dato dell’export nella prima metà dell’anno mostra un incremento del 24,2 per cento, dovuto per oltre il 70% ai prodotti metalmeccanici, sui quali non gravano le barriere non tariffarie, a differenza dei prodotti agroalimentari.

Cosa se ne può dedurre? Che rimuovere gli ostacoli tecnico-regolamentari al commercio di beni e servizi porterebbe ulteriori benefici in molti settori, soprattutto in quello agroalimentare: tali ostacoli riguardano il tonno in olio di oliva, formaggi di latte vaccino, prodotti ortofrutticoli freschi, molti prodotti in cui l’Emilia-Romagna vanta eccellenze mondiali, con oltre 41 dop e igp. L’abbattimento delle barriere commerciali, infine, avvantaggia le piccole e medie imprese, perché tendono a gravare su di loro in modo sproporzionato: le differenze di norme e regolamenti costringono oggi le aziende a compiere passaggi aggiuntivi per realizzare lo stesso prodotto in due tipologie o a rispettare due diverse procedure, con un aggravio che si calcola arrivino fino al 20-25%.

Non ha quindi più senso mantenere le barriere attuali ed è meglio compiere una scelta lungimirante: in mondo globale le difficoltà si risolvono solamente costruendo accordi e facilitando i meccanismi di scambio. Solo così si può riuscire a sostenere la ripresa e a creare occupazione.

Articolo pubblicato sul Corriere Imprese EMILIA-ROMAGNA

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