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Pubblichiamo le conclusioni del report del Cesi “Le incognite per l’Afghanistan nel passaggio da ISAF a Resolute Support”

Nonostante il governo di Kabul sia riuscito a portare a termine con successo, benché a rilento, il delicato processo elettorale e ad assicurare la presenza delle Forze internazionali almeno per il prossimo triennio, molte incognite permangono sulla stabilità dell’Afghanistan nel medio e lungo periodo. Con un governo di larghe intese che continua ad arrancare a causa della difficile sintesi tra le diverse istanze al proprio interno e una minaccia talebana che sta avanzando con veemenza dalle tradizionali roccaforti nell’est e nel sud verso regioni prima estranee all’insorgenza, l’attuale debolezza delle autorità centrali si sta rivelando un fattore di grande criticità per la tenuta del Paese.

In questo contesto, un’oculata pianificazione del supporto della Comunità Internazionale, sia politico sia militare, potrebbe rivelarsi una discriminante fondamentale per scongiurare sul nascere il riaffiorare di conflittualità locali e, conseguentemente, l’avvio di una pericolosa spirale di violenza, che non solo vanificherebbe dieci anni di sforzi, ma potrebbe persino tradursi in un nuovo conflitto civile.

Un ritiro affrettato delle Forze straniere dall’Afghanistan, in una fase così grave per la futura stabilità del Paese, infatti, sarebbe una grande sconfitta per l’amministrazione statunitense e per tutti quei Paesi, inclusa l’Italia, che hanno contribuito in modo significativo alla missione ISAF. Questi ultimi, infatti, vedrebbero ora sprecati dieci anni di sforzi, senza aver raggiunto l’obiettivo prefissato e con la prospettiva di vedere di nuovo Kabul cedere sotto la pressione dei talebani e di militanti legati al network internazionale dello Stato Islamico.

La drastica riduzione del sostegno internazionale in un momento in cui il governo non riesce ancora a gestire in autonomia i molteplici fattori di criticità interni, infatti, sta già innescando una pericolosa reazione a catena all’interno della società che rischia di riportare il Paese ad una situazione di profonda instabilità istituzionale. La perdita di efficacia da parte di Esercito e Polizia nel rispondere alla minaccia dell’insorgenza, che continua ad essere il principale fattore critico per la sicurezza interna, sta generando un sentimento di profonda frustrazione e abbandono tra le fila delle ANSF.

La perdita di questo spirito motivazionale sta amplificando il fenomeno della diserzione e causa, di conseguenza, non solo un rapido disgregamento delle stesse ANSF, ma soprattutto il proliferare di uomini militarmente addestrati pronti a trovare una nuova causa per la quale mettere a disposizione la propria competenza. In questo contesto, il disfacimento delle Forze di Sicurezza regolari e la mancanza di un’autorità centrale forte, riconosciuta in modo trasversale da tutta la popolazione, potrebbero favorire il rafforzamento dei poteri locali dei tradizionali signori della guerra, che guarderebbero ai migliaia di ex militari come ad una preziosa risorsa per ricostituire, o rafforzare, le proprie milizie e mettere in sicurezza le rispettive enclave.

L’auspicata coesione della popolazione afghana, faticosamente ricercata per quasi quindici anni, dunque, potrebbe cedere nuovamente il passo ad una divisione della società secondo linee etniche e tribali, con ovvie ripercussioni sull’unità stessa dello Stato. Questa dinamica, seppur rallentata da una condizione di sicurezza tra le migliori di tutto il Paese, sarebbe riscontrabile anche all’interno delle regioni occidentali, in cui, in questi anni, si sono concentrati gli sforzi delle nostre Forze Armate. Benché, al momento, in questa regione l’attività dell’insorgenza sia particolarmente rilevante solo nelle aree di Farah e Badghis, tuttavia un eventuale collasso delle autorità centrali, civili e militari, consentirebbe alla militanza di intensificare i propri attacchi in modo capillare in tutte le province, mettendo, di fatto, in discussione i successi ottenuti in questi anni grazie al contributo italiano al processo di ricostruzione nazionale.

ghani

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