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LA PROMOZIONE DEL MADE IN ITALY

Sul tema, Roma è forse il capofila europeo. Sono circa 260 i milioni di euro che il dicastero dello Sviluppo economico, rappresentato su questo dossier dal viceministro, Carlo Calenda, ha annunciato di voler investire nei prossimi mesi per promuovere l’eccellenza del Made in Italy. Molto di questo denaro, ha spiegato il 10 giugno Calenda da Chicago, verrà speso proprio su territorio statunitense per fare da traino agli spazi che – secondo il governo – si apriranno dopo la firma dell’accordo. A beneficiare dell’abbattimento delle barriere tra Washington e il Vecchio Continente, crede il Mise, saranno soprattutto le nostre Pmi e in particolare quelle attive nell’agroalimentare, che potrebbe così colmare rapidamente il vuoto creato dal ridotto interscambio commerciale con la Russia, causato dalle contro sanzioni di Mosca, arrivate in rappresaglia di quelle europee per la crisi ucraina.

GLI SPAZI PER L’ITALIA

Il tempismo di Calenda non è casuale. Proprio mercoledì scorso, in Illinois, nella città del presidente Barack Obama, si inaugurava Fmi Connect, una delle principali vetrine mondiali B2B sul food & beverage, affollata da 900 espositori e migliaia di buyer di grandi catene delle distribuzione americana. L’Italia, con il sostegno dell’Ice, ha risposto con la presenza di 52 aziende e la cooperazione di tre fiere, Fiere di Parma con Cibus, Fiera di Verona con Vinitaly e fiera di Milano con Tuttofood.

OBIETTIVO: EXPORT

“Dobbiamo portare più alimenti italiani sul mercato americano. È questo anche il modo di contenere il fenomeno dell’Italian sounding”, che mette sugli scaffali prodotti che non hanno nulla a che vedere con il Made in Italy, ha sottolineato il viceministro.
Per contrastarlo serve soprattutto maggiore presenza negli scaffali dei piccoli e grandi ipermercati Usa. Un obiettivo a portata di mano per l’Ice. “Stiamo facendo un sforzo molto ampio negli Stati Uniti nei prossimi mesi, negli Usa e poi in altri paesi quali Cina, Giappone e altri paesi target”, ha spiegato sempre da Chicago Roberto Luongo, direttore generale dell’agenzia per l’export, secondo il quale “l’Ice ha in fase di decollo un piano di promozione che vedrà un investimento di 44 milioni di euro in Nordamerica nel prossimo anno”. Calenda e Luongo non sono soli. Da tempo Confindustria è convinta dei benefici che il Ttip avrà sull’export delle Pmi italiane. E sempre il 10 giugno, nel corso dell’assemblea di Federalimentare che si è tenuta a Expo, il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, ha ricordato come “l’agroalimentare si conferma una leva competitiva determinante per far uscire l`Italia dalla crisi”, a patto che si colga “l’occasione del Ttip”, definito un obiettivo primario non solo per mettere il turbo alle esportazioni, ma anche per tutelare le produzioni agroalimentari italiane dalla contraffazione.

VERSO IL TTIP

Qualche ostacolo sulla strada del nuovo trattato c’è ancora, ma non mancano segnali positivi. Se da un lato il voto di mercoledì scorso al Parlamento di Strasburgo sul Ttip è stato rimandato sine die a causa delle proteste di alcuni deputati, dall’altro, per Calenda, una bozza di accordo sui più importanti aspetti (lasciando aperto il dibattito su quelli più controversi) è “credibile entro i primi mesi del 2016”.
Secondo il viceministro, infatti, le aree delle tariffe e della convergenza delle regolamentazioni e degli standard sono le più promettenti per arrivare a un’intesa. E per l’Italia dovrebbe essere poi possibile ottenere un “riconoscimento della denominazione di origine geografica”, particolarmente importante per l’espansione e la protezione dell’export della Penisola. Dopo la benedizione del recente G7, ha spiegato il vice titolare del Mise, la prospettiva di un cosiddetto living agreement ha preso la quota necessaria per spiccare il volo.

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