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Il presidente turco ha già detto più volte che quello appena iniziato è il suo ultimo mandato, e anche per questa ragione ha impresso una velocità diversa alle politiche dei suoi ministri. Recep Tayyip Erdogan sta tessendo una tela differente nelle partite che si stanno giocando tanto a oriente quanto a occidente: dopo aver incassato il via libera dell’amministrazione Biden all’acquisto degli F-16, da un lato rafforza le sue relazioni con tre paesi nevralgici dell’area orientale e caucasica, come Pakistan, Kazakistan e Azerbaigian; dall’altro prova a imboccare una strada alternativa nella crisi in Ucraina. Questa volta non c’è solo l’emergenza grano che incombe, ma l’esigenza di chiudere un anno particolarmente elettorale come il 2024 (elezioni europee, in Francia, in Spagna, in Inghilterra, in Usa) con una sterzata.

Qui Astana

Punto di partenza il summit della Shanghai Cooperation Organization (SCO) in corso ad Astana, occasione per il fronte non occidentale di ragionare su iniziative e partnership: il pre-vertice si è caratterizzato per l’incontro con il presidente russo Vladimir Putin, a ci è seguito un trilaterale con il presidente azero Ilham Aliyev e il primo ministro pakistano Shahbaz Sharif. Al centro del vertice la sicurezza regionale e la cooperazione in settori nevralgici come energia, trasporti, sanità, che i partecipanti hanno da tempo cerchiato in rosso come una priorità (Kazakistan, India, Cina, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan, Turchia, Mongolia, Qatar, Uzbekistan e Iran).

I due fronti

Da Astana dunque emerge la volontà erdoganiana di giocare su due fronti: provare, come fatto in passato, a mediare nella guerra tra Russia e Ucraina con un retroterra geopolitico caratterizzato da un’inclinazione filo-occidentale di Ankara (anche alla luce del via libera all’ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia); e non smarrire il sostegno economico russo nei settori energetici, logistici e finanziari. La vera incognita è la risposta di Mosca, che ufficialmente non sembra disposta a cedere per il semplice fatto che lo chieda apertamente un solido interlocutore russo come Erdogan. Ufficiosamente, però, la concomitanza con le varie tornate elettorali e la consapevolezza di un territorio ucraino sempre più distrutto sono due elementi che andranno tenuti in considerazione.

Bruxelles e Ankara (via Budapest)

Ma non è tutto, perché nel novero delle analisi sull’asse Bruxelles-Ankara va citato l’inizio della presidenza di turno dell’Ue targata Ungheria. Budapest ha detto apertamente di avere come obiettivo primario una “relazione reciprocamente vantaggiosa” con la Turchia, come dimostra il suo programma semestrale. Sullo sfondo restano i dossier aperti tra Ue e Turchia, a cui Viktor Orban vorrebbe fungere da contraltare: “La Turchia è partner indispensabile dell’Ue in molti settori, come la sicurezza energetica, la sicurezza regionale complessiva e la lotta contro l’immigrazione illegale”, ha detto. Oltre al rapporto personale tra i due leader, spicca il partenariato strategico nato nel 2013 dopo aver istituito l’High-Level Strategic Cooperation Council.

In questo senso l’Ungheria si definsce “mediatore onesto, lavorando lealmente con tutti gli stati membri e le istituzioni”, stando alle parole del ministro ungherese per gli Affari Ue Janos Boka.

Geopolitica 4.0

Appare evidente che se Bxuelles punta ad avere un interesse strategico nel Mediterraneo orientale, non può non immaginare al contempo una relazione cooperativa con Ankara che guardi a dossier delicatissimi, come l’Indo Pacifico, il conflitto a Gaza, l’Africa, le relazioni con Balcani e Caucaso, due fronti strategici della geopolitica 4.0.

Inoltre la presidenza ungherese dell’Ue punta a gestire anche la situazione a Cipro, dove è in discussione (guerre permettendo) la ripresa dei negoziati di risoluzione globale, passaggio che vede come è noto una discrepanza di posizioni tra Nicosia e Ankara, ma con un elemento in più: il peso specifico di Cipro che negli ultimi mesi è aumentato notevolmente, sia alla luce del corridoio umanitario per Gaza, sia alla luce dell’uso che i caccia occidentali hanno fatto delle basi militari su suolo cipriota.

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