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Pubblichiamo un estratto dell’intervista uscita sul quotidiano on line L’Occidentale

Ncd ammaina la sua bandiera?

«Non la metterei così. Direi piuttosto che al nucleo originario si è aggiunto qualcosa di importante: in prospettiva un progetto nuovo per dar voce ai tanti che non si rassegnano all’idea che la politica italiana ruoti intorno al bipolarismo “Matteo contro Matteo”».

Il riferimento è alle prossime regionali. In effetti di movimenti tenuti a battesimo ce ne sono diversi.

«Dal Carroccio si è staccato Flavio Tosi, e sbaglieremmo a considerarlo soltanto un fenomeno circoscritto alla sua Regione. Tosi rappresenta quell’anima leghista che aveva assorbito a partire dagli anni Novanta – in Veneto ma anche nelle valli lombarde – un cattolicesimo esistenziale ancor prima che politico, nutrito dunque di una spontaneità popolare e anche di una durezza che però non è mai stata estremismo. Nelle Marche, Gian Mario Spacca col suo movimento “Marche 2020” rappresentava un elemento di peculiarità nel rapporto tra il mondo cattolico-popolare, produttivo, imprenditoriale, e la sinistra che decretandone di fatto l’espulsione ha testimoniato la volontà di sottomettere anche questa Regione a un modello egemonico tipo Toscana ed Emilia. In Puglia la coalizione che sostiene Francesco Schittulli è il segno di una vicenda emblematica: lì è entrato definitivamente in crisi il rapporto tra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto, e anche colui che più di ogni altro ci aveva attaccato ai tempi della nascita di Ncd ha dovuto sperimentare come la chiusura di Forza Italia non avrebbe sopportato nessuna iniziativa e nessuna “deviazione”, nemmeno a livello regionale».

Componiamo questo puzzle delle regionali.

«Io credo che noi non siamo stati solo partecipi di questi processi e di altri analoghi, ma per certi versi li abbiamo addirittura provocati. Se guardiamo al dato complessivo, è significativo che in cinque Regioni su sette a guidare le coalizioni di cui facciamo parte siano uomini che potrebbero diventare attori importanti di un nuovo progetto, che in queste elezioni abbiamo chiamato Area Popolare ma che per compiersi ha bisogno in futuro di allargarsi ulteriormente e magari di trovare anche un altro nome e un altro simbolo».

Quindi andare oltre il rapporto con l’Udc.

«È evidente che in questo processo di aggregazione di una nuova alternativa che risponda alle caratteristiche di un sistema e di un’agenda politica anch’essi nuovi, l’unione con gli amici dell’Udc è un passo importante ma non sufficiente. Ha detto bene lei, occorre andare oltre».

In Liguria però girava voce di un vostro sostegno alla candidata del Partito democratico.

«In nessuna regione abbiamo fatto alleanze con la sinistra. In sette regioni su sette siamo alternativi al Pd. Non si tratta di una scelta ideologica, ma di un dato che discende anche dalle contraddizioni irrisolte del partito di Renzi. Forse si sarebbe potuto fare qualcosa di diverso in Liguria, dove i democratici sono spaccati – un candidato riformatore, e un altro “identitario” –, ma il prezzo da pagare sarebbe stato quello di camuffarci e nasconderci, sottomettendoci a un accordo senza la dignità di una logica di coalizione. Improponibile».

Atteggiamento poco chiaro, il loro?

«Con un occhio anche al quadro nazionale, penso che queste elezioni rappresentino una svolta per il Nazareno: Renzi ha la possibilità di rafforzare il tratto riformatore del suo partito, correndo il rischio di rompere con la parte più “identitaria”, oppure salvare l’unità della “ditta”, diventando una sorta di partito-Stato. Da questa scelta dipende non soltanto il futuro del Pd, ma anche quello del sistema partitico italiano. Quello che vorrei fosse evitato, se mi è consentito un suggerimento non richiesto, è pensare di risolvere il problema privilegiando la prima logica a livello nazionale (vedi il discorso sulle riforme) e la seconda sui territori. Ho l’impressione che proprio questo stia avvenendo: nelle Regioni chiamate al voto si è ricercata un’unità della sinistra che andasse al di là dello stesso Pd recuperando anche Sel. Sul lungo periodo le due logiche sono destinate a collidere».

Intendiamoci: Giovanni Toti è stato un ripiego?

«Assolutamente no. La verità è che abbiamo intessuto rapporti spingendoci fino a Forza Italia, ben sapendo che anche lì c’è una contraddizione irrisolta ed è necessario scioglierla: contribuire alla costruzione di un’alternativa nel sistema o divenire il predellino su cui si issa Salvini. A noi andare a rimorchio del lepenismo in salsa italiana certo non interessa».

Non riesco a capire perché in ogni Regione presentate un simbolo diverso.

«Se è vero tutto ciò che abbiamo detto, siamo nel pieno di una trasformazione creativa, dalla quale deve maturare un nuovo progetto, una nuova classe dirigente, devono farsi strada volti che oggi la politica non conosce. I simboli diversi sono una narrazione di quello che è accaduto, e quindi tocca a noi essere in grado di utilizzarli appunto per raccontare. In ogni simbolo è presente la dicitura “Area Popolare”, ma non solo. In Umbria, “AP” compare in un simbolo dominato da “Per l’Umbria Popolare”, e questo perché si tratta della prima regione che ha innescato questo processo. Quel contrassegno – l’unione del nostro partito con il movimento civico creato da Claudio Ricci – girava sui pulmini in una campagna elettorale povera partita un anno fa, che ha inaspettatamente condotto alla vittoria a Spoleto e a raggiungere il ballottaggio a Foligno. Poi ci sono i simboli di Marche e Puglia, dove “Area Popolare” si ibrida e si ingrandisce grazie all’alleanza con i movimenti locali dei candidati presidenti, Spacca e Schittulli. Quello della Toscana è ancora diverso: rappresenta la difficile scommessa di una rete civica e di un uomo, Giovanni Lamioni, che aderisce al nostro progetto per passione autentica, portando con sé il bagaglio importante dei corpi intermedi».

In Veneto e in Campania ricompaiono i simboli di partito.

«Per due ragioni differenti. In Veneto si tratta di una sfida, perché una destra vecchia ed estremista ci aveva chiesto di ammainare quei simboli. Altrove lo abbiamo fatto per scelta e per ragionamento politico, ma se ci viene imposto rispondiamo picche. Quanto alla Campania, lì la lista Ncd-Campania Popolare si farà carico di raccogliere tutti i propositi, le attese, le speranze di quanti ritengono che l’esperienza Caldoro possa essere ricondotta nell’alveo di una nuova stagione del centrodestra, rappresentando un ponte tra il vecchio e il nuovo».

Leggi l’intervista completa su l’Occidentale 

Vi spiego il puzzle di Area Popolare alle Regionali. Parla Quagliariello

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