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Mettere in campo migliaia di droni autonomi entro due anni, per poter competere con gli enormi numeri di cui dispone la Repubblica Popolare Cinese nel teatro del Pacifico. È questo l’obiettivo di Replicator, l’audace progetto svelato dal Pentagono nell’agosto del 2023. Che però sembra stia procedendo più a rilento del previsto. Da una parte ci sono ostacoli di carattere amministrativo, legati al reperimento dei fondi necessari per finanziare e realizzare un simile progetto; dall’altra, le difficoltà di integrare concetti e tecnologie complesse come quelle che si aspira a realizzare, capaci di cambiare significativamente il livello operativo della guerra, con un grado di disruption potenziale decisamente più alta rispetto all’innovazione evolutiva incrementale che il Dipartimento della Difesa persegue solitamente in tempo di pace.

Tuttavia, il Pentagono dispone di un prezioso precedente a cui rifarsi. Nel 2022, la Marina ha iniziato un esperimento di due anni pubblicamente noto come Unmanned Task Force (Utf), responsabile dell’integrazione di diverse capacità disruptive sia all’interno della dimensione navale che di quella joint. Il successo che ha coronato l’esperimento è stato tale da portare all’istituzione dell’Ufficio per le capacità dirompenti della Marina. Jason Stack, co-fondatore ed ex-vicedirettore della Task Force statunitense ha scritto un articolo su Defensenews indicando i quattro principi che hanno garantito il successo del suo progetto, suggerendo che potrebbero fare lo stesso anche per Replicator.

Il primo riguarda l’approccio: si deve mirare a risolvere i problemi, non a soddisfare i requisiti. In questo modo si eliminano una serie di fattori limitanti nello sviluppo delle soluzioni richieste, che ostacolano il raggiungimento di un risultato efficiente. La Task Force si è concentrata sui problemi identificati dai comandanti a quattro stelle, per poi perfezionare ulteriormente i dettagli con la comunità operativa. Sebbene i combattenti siano gli esperti dei problemi operativi, raramente hanno la possibilità di approfondire tutte le sfaccettature dei problemi che devono affrontare o di ottimizzare l’articolazione dei problemi per l’ecosistema dell’innovazione. Il ruolo dell’Utf in questo ambito è stato cruciale.

Il secondo è il mediare i processi innovativi. “Le attività di innovazione primaria di un’organizzazione (cioè le attività di innovazione evolutiva) distruggeranno tutti i tentativi di innovazione dirompente. Poiché l’innovazione evolutiva cerca di migliorare lo status quo, mentre l’innovazione dirompente cerca di rovesciarlo, la maggior parte dell’organizzazione vedrà l’innovazione dirompente come non allineata, cercherà di sopprimerla e di assimilare le sue risorse. Una reazione comune a questa tendenza è quella di isolare il gruppo di innovazione. È un errore. La separazione organizzativa darà al gruppo di innovazione velocità e agilità, ma creerà barriere che impediranno di sfruttare i suoi frutti” scrive Stack, che adduce due esempi dall’esperienza dell’Utf: il primo è la decisione di rimanere fisicamente all’interno del Pentagono, opponendosi con veemenza a tutti i tentativi di trasferirsi in ambienti più cosiddetti favorevoli all’innovazione; il secondo luogo si riferisce alla scelta di rimanere amministrativamente collocato nell’organizzazione di risorse e requisiti della Marina. Se da un lato queste scelte hanno limitato la velocità e l’agilità tattica dell’Utf, dall’altro i vantaggi strategici derivanti dall’avere sempre un posto al tavolo sono stati una pietra miliare dei suoi successi.

Il terzo principio suggerito da Stack riguarda la sperimentazione. In un esperimento, un risultato indesiderato è un’esperienza di apprendimento e le organizzazioni che imparano più velocemente di solito prevalgono. Il programma di allunaggio della Nasa ha effettuato numerosi lanci dal 1961 al 1972: tutti i lanci avevano obiettivi di apprendimento espliciti e molti hanno prodotto una serie di lezioni inaspettate che hanno dato forma agli esperimenti successivi. L’UTtf ha emulato questo approccio, passando alla sperimentazione con utenti, tecnologie esistenti e ipotesi esplicite prima di avviare qualsiasi sviluppo. Anche Replicator dovrebbe fare lo stesso.

Infine, prioritizzare scoperta e velocità, anziché efficienza e scala, è il quarto principio. L’intuizione chiave di un progetto come Replicator è che lo stato finale del processo è sconosciuto. Una volta che si sarà concretizzato, sarà possibile lavorare per incrementare il grado di efficienza generale.

“L’innovazione dirompente all’interno di una grande organizzazione è estremamente difficile. Poche organizzazioni hanno dimostrato di poter sostenere l’innovazione dirompente nel tempo. La maggior parte dei militari eccelle nell’innovazione in tempo di guerra, ma fatica in assenza di una minaccia esistenziale”, riflette Stack in chiusura, domandandosi se Replicator riuscirà ad ottenere lo stesso successo della Tfu.

Replicator, ecco la nuova ricetta del Pentagono

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