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Con le precedenti interviste abbiamo conosciuto il punto di vista di un attivista per i diritti degli omosessuali cattolico, Aurelio Mancuso, e di una Senatrice della Repubblica, nello specificoMonica Cirinnà, relatrice del DDL sulle coppie di fatto approvato di recente in Commissione Giustizia del Senato. Davanti a queste trasformazioni sociali e culturali alcuni hanno parlato di pericoli per la famiglia naturale, di stravolgimento del sistema sociale, assurdità antropologiche e ideologie gender. Oggi vi propongo un’intervista con la Prof.ssa Elisabetta Ruspini, professore associato in Sociologia presso la facoltà di Sociologia dell’Università Milano Bicocca e coordinatrice della sezione AIS-Associazione Italiana di Sociologia “Studi di Genere”.

Prof.ssa Ruspini, l’Italia non ha una regolamentazione in materia di diritti degli omosessuali. I tentativi precedenti sono tutti falliti come dicevo alla Sen. Cirinnà, eppure finalmente, sembra che qualche cosa si sia mosso. Le volevo chiedere se aveva preso visione del DDL e che cosa ne pensa, in linea generale?

Se approvato, il disegno di legge “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, nato per favorire la parità dei diritti per tutte le unioni, potrebbe costituire un punto di partenza per estendere i diritti di cittadinanza di persone, coppie e famiglie Lgbt.

Dopo l’intervento del Parlamento Europeo sui temi dei diritti degli omosessuali qualcuno ha parlato di “assurdità antropologica”, altri, invece, di “forzatura ideologica”. Il leitmotiv è che si fa avanti un’ideologia del gender, ma esiste veramente una ideologia gender?

Come la nostra Sezione AIS-Associazione Italiana di Sociologia “Studi di Genere”, che ho l’onore di coordinare, ha scritto in un recente comunicato, disponibile online sul sito della Sezione : “Studi e Teorie di Genere costituiscono parte fondamentale e irrinunciabile della conoscenza prodotta dalle Scienze Umane e Sociali. Studi e ricerche gender-sensitive sono un campo di studi scientifico riconosciuto, affermato e diffuso a livello internazionale (europeo ed extraeuropeo) e non un terreno di propaganda ideologica”. Negare la scientificità degli Studi di Genere significa squalificare una parte molto consistente della ricerca prodotta dalle Scienze Umane.

Cosa comporterebbe di così rischioso per la società il riconoscimento di diritti agli omosessuali?

Per quanto mi riguarda, nulla di rischioso; si tratterebbe invece di una importante e assai necessaria estensione di diritti di cittadinanza ed equità, al di là degli orientamenti sessuali. Come sappiamo, in Italia, a differenza di molti altri contesti europei e non. le persone con orientamento sessuale differente da quello eterosessuale, socialmente e istituzionalmente preferito, non si possono sposare, non possono adottare bambini, non possono fare uso delle tecniche di fecondazione assistita. Sono questi ostacoli istituzionali molto pesanti.

Ci sono delle tendenze sconcertanti che mettono insieme vicende europee e statunitensi. In Russia varate leggi contro la propaganda omosessuale, in Italia gruppi di estrema destra come Forza Nuova mettono all’indice i libri ritenuti “portatori di ideologia gender” e messi al rogo. In indiana, per tutelare la libertà religiosa, è stata varata una legge che consente ai negozianti di rifiutarsi di vendere ad omosessuali. Quello che le voglio chiedere è se queste tendenze non sono pericolose?

Ogni “tendenza” di natura ideologica, integralista e discriminatoria può essere pericolosa.

E quali sono i rischi concreti per gli omosessuali, oggi?

Anomia istituzionale, discriminazioni lavorative, omofobia, rischi derivanti dalla connessione (negativa) tra discriminazioni subite e stato di salute.

Nel caso una legge come quella Cirinnà fosse approvata, sarà sufficiente a migliorare le condizioni di vita degli omosessuali in Italia?

Direi di no, ma potrà costituire un significativo punto di partenza per eliminare alcune delle molte discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.

Se una legge non è sufficiente, cosa deve essere fatto, dal punto di vista culturale, per cambiare davvero la situazione in Italia?

Tanta educazione e tanta formazione. Le studiose e gli studiosi della nostra Sezione AIS “Studi di Genere”, di sensibilità, ideologie e orientamenti molto diversi tra loro, si impegnano quotidianamente per diffondere una Cultura di Genere, con una prospettiva formativa, interdisciplinare e pluralista che è anche e soprattutto un punto di vista sul mondo sociale.

Qual è il ruolo della sociologia in questo ambito, degli studiosi in generale e delle cittadine e dei cittadini comuni?

La Sociologia, e le Scienze Sociali più in generale, giocano un ruolo cruciale sia sul versante della diffusione di una conoscenza scevra da stereotipi, sia per formare le nuove generazioni ad un incontro sereno con il mutamento sociale. Come scritto nel nostro comunicato: “nei vari contesti di ricerca in cui oggi sono usate, le teorie sul Genere problematizzano l’identità sessuale naturalisticamente intesa, per cui il concetto di Genere vuole indicare che non è la sola biologia a determinare cosa sia una donna oppure un uomo: la società e la cultura (attraverso l’azione di agenzie di socializzazione e istituzioni) influenzano e indirizzano la conformazione dei ruoli maschili e femminili. Si tratta di processi delicati e complessi, sui quali la Sociologia, in particolare, può e deve riflettere. I motivi sono diversi. Certamente l’ampliamento della conoscenza ma anche un’assunzione di responsabilità: il riconoscimento della dimensione di Genere (socialmente costruita), permette di agire (con azione preventiva) sulla costruzione del sistema di diseguaglianze basate sulla differenza sessuale […] I risultati che la ricerca scientifica sul Genere ha prodotto e ribadiamo che ciò costituisce un insieme di saperi necessari per comprendere il mutamento individuale, famigliare e sociale, l’avvicendamento generazionale e per preparare le nuove generazioni all’incontro con il futuro incoraggiando relazioni educative più attente all’inclusione e alla partecipazione”.

Alla luce di tutto ciò, cosa può essere fatto o deve essere ancora fatto?

Diffondere con serietà, professionalità e senza timori la Cultura di Genere. Il Genere (ri)considera la relazione tra uomini e donne attraverso un focus più ampio su corpi, relazioni sociali, desideri, identità e orientamenti sessuali, consentendo di ripensare tematiche classiche e specifiche della disciplina sociologica. Consente di comprendere e supportare l’avvicendamento generazionale; preparare le nuove generazioni all’incontro con i mutamenti delle identità; sostenere una equa distribuzione del lavoro familiare e delle funzioni di cura e modelli di genitorialità più intercambiabili; favorire mascolinità e paternità diverse, riflessive, capaci di contatto affettivo ed emotivo; incoraggiare la visibilità e l’inclusione sociale delle persone Lgbt e delle famiglie omogenitoriali.

Reportage #GenderSensivity: intervista con la prof.ssa Elisabetta Ruspini

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