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La vicenda greca è l’ultima testimonianza che la soluzione alle crisi debitorie dei Paesi membri dell’eurozona non può essere affidata a negoziazioni tra capi di Stato e di Governo dove si confrontano diverse agende politiche, mentalità, e istanze varie, anche meritevoli di considerazione, che però poco hanno a che fare con la soluzione del problema.

Nonostante i progressi compiuti, per esempio, con la creazione del Meccanismo di stabilità europeo, il cosiddetto “Fondo salva Stati”, è opportuno guardare al di là dell’Atlantico per cogliere alcune lezioni rilevanti per la gestione delle crisi dei debiti degli Stati-membri dell’eurozona. Dal 1937 gli Stati Uniti hanno regolato le crisi finanziarie delle loro entità “subsovrane”, come le municipalità di diversa dimensione, nel Capitolo 9 del codice fallimentare. Le condizioni per beneficiare delle relative procedure sono: (i) essere un’entità subsovrana (come sono, in materia monetaria e finanziaria, i paesi membri dell’eurozona che, in linea con la logica americana, “formano una più ampia organizzazione sovrana”); (ii) rientrare in una situazione prossima alla bancarotta; (iii) negoziare in buona fede con i creditori e raggiungere un accordo con la maggioranza di essi; (iv) e, impegnarsi ad attuare un piano di aggiustamento per assolvere al debito.

L’esperienza negli Stati Uniti è generalmente positiva: dalla sua introduzione, quasi 700 entità si sono avvalse del Capitolo 9, riuscendo, in oltre il 90 per cento dei casi, a evitare la bancarotta. In tal senso, la normativa presenta alcune importanti caratteristiche: i) preserva il potere di iniziativa dell’entità subsovrana sotto stress nel formulare un piano di aggiustamento garantendone ownership e fattibilità nella sua successiva esecuzione; una volta validato dalla magistratura, vincola i creditori non cooperativi ad associarsi al piano di aggiustamento (nella ristrutturazione del debito greco, invece, i creditori non cooperativi dei titoli emessi sulla piazza di Londra sono stati ripagati in pieno); crea per il debitore subsovrano e i suoi creditori un locus super partes per discutere e auspicabilmente raggiungere una soluzione cooperativa; fornisce agli stakeholders, come le parti sociali, il diritto a essere consultate sul piano di ristrutturazione (tipicamente, escluse tout court dai negoziati); infine, consente al debitore di attivare la procedura nelle fasi iniziali dello stress finanziario così da contenere le conseguenze del dissesto nell’interesse dei cittadini e dei creditori e scongiurare il disastro sociale ed economico della bancarotta.

A ulteriore conferma della sua utilità, l’amministrazione Obama e il Congresso stanno valutando di estendere l’applicazione del Capitolo al Portorico che, pur avendo una natura giuridica ambigua (è territorio, ma non municipalità), ha invocato l’applicazione del Capitolo in questione per fronteggiare la grave crisi finanziaria che lo ha colpito.

Noi riteniamo che i principii che ispirano il Capitolo 9 possano essere utilmente applicati alla gestione delle crisi debitorie dell’Eurozona, a partire dalla Grecia, per contenere le istanze metafinanziarie che ne hanno guidato le trattative generando conseguenze politiche avverse simili a quelle che hanno portato Syriza al potere in Grecia e che, in un futuro prossimo, possono sospingere il successo elettorale di Podemos in Spagna, Le Pen in Francia e Lega e M5S in Italia.

Il primo passo da compiere è di prendere atto che i paesi membri dell’eurozona sono parte di un’unione dotata di sovranità, in linea con le intenzioni dei proponenti l’euro e con la proposta ribadita proprio l’altro giorno dal Presidente francese Hollande. Di fatto, tuttavia, il coinvolgimento politico è già in atto quando il debito di un paese membro entra in crisi per politiche imprudenti o per valutazioni del mercato finanziario internazionale, determinando la perdita della sovranità fiscale del paese coinvolto. L’eurozona è l’entità sovrana e gli Stati-membri quelli subsovrani, come le municipalità degli Stati Uniti.

Dal punto di vista procedurale si tratta di individuare un mediatore nella figura di un’alta personalità a cui andrebbe affidato il compito di guidare il processo per sottrarlo alla politica degli stati nazionali europei. Sotto questa legislazione gli Stati Uniti sono riusciti a fronteggiare centinaia di casi di di dissesto finanziario e insolvenza conseguenti allo scoppio della crisi finanziaria del 2008, contenendone le conseguenze dirompenti e prevenendo possibili effetti domino su altre entità sovrane e subsovrane della Federazione. Esattamente ciò che l’Europa non ha saputo evitare. La nostra speranza è che finalmente si apra la mente per accogliere anche in Europa i principi di questa legislazione.

(questa analisi è stata pubblicata la scorsa settimana dal Sole 24 Ore)

Grecia, la lezione degli Stati Uniti per i debiti dell'Eurozona

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