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“Servizi di Intelligence in Italia nel XXI secolo” è il titolo della lezione tenuta dal prefetto Franco Gabrielli, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica nel governo Draghi e attualmente delegato alla sicurezza del Comune di Milano, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

Gabrielli ha esordito dichiarando la non ortodossia del suo approccio e sottolineando il rapporto, inversamente proporzionale, tra ciò che si fa e ciò che si propaganda. Ha poi evidenziato la percezione comune che, non di rado, associa il concetto di intelligence ai servizi deviati, chiarendo che si tratta di una accezione impropria e storicamente errata e chiarendo che in molte occasioni alcune parti degli apparati d’intelligence sono state più fedeli all’Alleanza Atlantica che alla Carta costituzionale.

Il prefetto ha poi ricordato l’importanza strategica dell’intelligence, evidenziando una carenza di sensibilità nei confronti di tale disciplina da parte della società italiana. Secondo Gabrielli, la storia dei nostri servizi si presenta come percorso frammentato, caratterizzato dalla mancanza di una legislazione unitaria, contraddistinta da un “sistema binario antagonista, con un forte anelito unitario” che il legislatore, con la prima legge del 1977, ha trasformato da “sistema binario antagonista in sistema ibrido”. Infatti, il Sismi è stato associato al controspionaggio consentendogli di operare all’interno del Paese e di assumere le vesti di servizio generalista, mentre il Sisde era stato concentrato soprattutto sull’antiterrorismo, che allora insanguinava il Paese. L’assetto dei servizi si basava su una dualità tra gli apparati interno ed esterno, spesso in competizione tra loro che si manifestava nella competizione tra Sismi e Sisde, per dimostrare una presunta supremazia.

Ulteriore passo nella storia dell’intelligence italiana è rappresentato dalla legge 124 del 2007 che presenta requisiti favorevoli. Si tratta di una legge di iniziativa parlamentare approvata all’unanimità, che ha attribuito all’Aisi il compito di controspionaggio sul territorio italiano, mantenendo all’Aise la responsabilità della controproliferazione anche all’interno, consentendo a quest’ultima struttura di operare entro i confini nazionali. Rimarcando il tema della frammentarietà del potere come limite del sistema italiano, Gabrielli ha evidenziato la mancanza di un modello dinamico di controllo, esprimendo preoccupazione per il timore diffuso di un eccessivo accentramento del potere, che ritarda una necessaria riforma dei servizi.

Individuando due missioni sostanziali per i servizi, Gabrielli ha sottolineato prioritariamente l’urgenza di consentire al decisore politico di svolgere funzioni determinanti. Tuttavia, questo richiederebbe una cultura dell’intelligence, in quanto lo scenario politico italiano contemporaneo considera l’intelligence erroneamente un mondo di dossieraggio mentre in realtà è un mondo con straordinario potenziale per tutelare gli interessi nazionali. La seconda missione identificata da Gabrielli riguarda l’analisi delle informazioni, la cui quantità di dati è sterminata. Pertanto, la valutazione delle informazioni presuppone un’altissima specializzazione degli operatori di intelligence. Con soli 4.000 operatori in organico nel comparto dei servizi, Gabrielli ha posto l’accento sulla questione centrale della selezione e la “qualità umana” degli operatori di intelligence, osservando le differenze tra l’approccio degli operatori delle forze di polizia e quello degli operatori d’intelligence.

Ha altresì ricordato due contributi che, in qualità di Autorità delegata, ha cercato di apportare alla crescita dell’intelligence: l’istituzione del clandestine service, che protegge gli operatori Aise negli scenari esteri, e la creazione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, facilitata dal Pnrr e focalizzata sulla resilienza cibernetica. Su quest’ultimo aspetto, Gabrielli ha delineato quattro pilastri: cyber-resilienza, conferendo all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale un ruolo di coordinamento specifico; cyber intelligence, propria delle agenzie Aise e Aisi; cyber-defense, concernente il comparto militare; cyber-investigation prerogativa delle forze di polizia e in particolare della Polizia postale.

Nel concludere, il docente ha parlato dell’intelligence come di “un asset fondamentale dello Stato”, precisando che i decisori politici devono rendersi consapevoli della sua rilevanza strategica e ricordando il rischio che le informazioni dell’intelligence siano ignorate, come a volte accaduto in passato.

Gabrielli ha quindi concluso, sostenendo che, in un contesto sociale e politico dominato dai sondaggi, ogni argomento rischia di essere banalizzato, compresa l’intelligence che, sottratta al dibattito scientifico, diviene oggetto di discussione da bar. Ha pertanto chiarito che il rapporto tra politica e apparati di sicurezza è profondamente connesso alla cultura che, come tutti i processi sociali, ha bisogno di tempo per essere compreso e utilizzato al meglio. Riguardo alla riforma dei Servizi, ha ribadito che rimane principalmente un problema culturale, per cui sono aumentate le resistenze, ricordando però che la sicurezza è un bene comune che va al di là degli orientamenti politici e che deve perseguire interessi generali.

La sicurezza è un bene comune. La lezione di Gabrielli

Il prefetto Franco Gabrielli, già Autorità delegata e oggi delegato alla sicurezza a Milano, ha tenuto una lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria sui servizi di intelligence in Italia nel XXI secolo. Ecco cos’ha detto

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