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“Prima di accordarci sulle poltrone, mi sarei aspettata un accordo sui programmi futuri dell’Europa di domani”. Giorgia Meloni nelle comunicazioni alla Camera dei deputati in vista del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno mette l’accento su un punto politico: ovvero, che non si può ignorare il risultato elettorale scaturito dalle euro-urne, preferendo la logica del caminetto come una conventio ad excludendum da parte dell’Ue “che non condivido e contesto”.

Il riferimento è alle nomine apicali (presidente di Commissione, Alto rappresentante per la politica estera, Presidente del Consiglio europeo) frutto di un accordo raggiunto ieri tra Popolari, socialisti e liberali che, di fatto, non hanno tenuto conto di chi è oggi il terzo gruppo al Parlamento europeo. Il premier aggiunge dettagli di merito al suo ragionamento, quando sposta lo sguardo più in là delle singole nomine e osserva che si sta per compiere un errore: ma non a carico di un singolo paese, come ad esempio l’Italia, bensì un errore per i destini dell’Europa, che “non comprende la sfida che si sta per compiere”. Progetti, emergenze contingenze, sfide: tutti dossier che dovrebbero essere affrontati con una visione e non con un metro di spartizione, accusa.

Annuncia, inoltre, che non intende fare marcia indietro circa le proprie convinzioni solo per strappare un incarico che “all’Italia spetta di diritto, in quanto paese fondatore” e si batterà affinché venga riconosciuto un merito alla Nazione e non ad un singolo partito. Ragion per cui chiede che si lavori con compattezza. Il tutto senza dimenticare i rischio sempre più concreto di una maggioranza fragile, “destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura”. Di qui l’indicazione che Meloni offre ai vertici, vecchi e nuovi dell’Ue: ovvero rendere un buon servizio all’Europa e alla sua credibilità significa “mostrare di avere compreso gli errori del passato e avere massima considerazione delle indicazioni dei cittadini”.

Nel mezzo le precisazioni programmatiche che costruiscono le linee guida di policies che dovrebbero andare oltre i nomi. Il Piano Mattei, dove l’Italia ha fatto scuola per instaurare nuove partnership con l’Africa, mostrando una connessione oggettiva sia con iniziative a livello europeo (Global Gateway), sia a livello internazionale (Partnership for Global Infrastructure and Investment).

La transizione, dove Meloni sottolinea due elementi come buonsenso e pragmatismo difendendo sì la natura ma con l’uomo dentro, mentre in questi anni invece si è fatto spesso l’esatto contrario. L’energia, dove l’Italia è ormai hub Mediterraneo, uno status dato dalla posizione di piattaforma naturale nel mare nostrum che offre l’opportunità di essere ponte tra Mediterraneo orientale, Africa ed Europa. Obiettivo reso possibile da una serie di progetti concreti come l’interconnessione elettrica Elmed Italia-Tunisia e il corridoio SouthH2 per il trasporto dell’idrogeno dal Nord Africa verso l’Europa. Temi che, al di là del merito, restano secondari rispetto alla convinzione di fondo meloniana: “Il popolo ha sempre ragione, non conosco alternative alla democrazia e mi batterò sempre contro chi vorrebbe sublimare una visione oligarchica e tecnocratica della politica e della società”.

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