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L’odierno compleanno di papa Francesco mi ha fatto tornare alla mente un vecchio lavoro del professor Arnold Toynbee. Nel 1973 questo famosissimo studioso di storia sostenne che il percorso dell’umanità fosse entrato nella sua terza fase. Nella prima, quella che chiamiamo preistorica, le comunicazioni erano lentissime, come i progressi della conoscenza umana e così l’umanità era quasi tutta nella stessa evoluzione, con caratteristiche assai simili.

Successivamente, nella fase che chiamiamo “storia”, i progressi nella conoscenza si sono fatti più veloci e così le società si sono differenziate, con la lenta diffusione delle conoscenze, ma certamente superiore a prima.

Ora conoscenza e propagazione di essa sono velocissime, riducendo le differenziazioni. È questo che ci fa paura? È questo che ci sta portando nelle guerre identitarie, segnate dal bisogno di appartenenza, di identitarismo, per differenziarci? La riduzione delle differenze viene percepita come spersonalizzazione. Inoltre i meccanismi della globalizzazione economica appiattiscono oggettivamente le nostre diversità, che finalmente avrebbero il modo di essere considerate delle reciproche forme di arricchimento di una comunità globale, la famiglia umana, costituita da persone e gruppi diversi.

Di questo rischio Bergoglio, poi papa Francesco, è stato tra i primi  a rendersi conto. E io sono convinto che oggi questo problema sia centrale nella sua visione. Lui, il papa dell’enciclica “Fratelli tutti”, è stato tra i primi a indicare la necessità di preservare le nostre diversità, rendendo la globalizzazione non un fenomeno sferico, nel quale siamo tutti equidistanti dal centro, e quindi uguali, ma poliedrico, cioè parti di un’unità nella diversità che arricchisce.

Ora che compie 87 anni Francesco ha certamente davanti la piena consapevolezza del suo tempo e dei suoi limiti, ma sa anche che l’opera intrapresa, quella della riforma sinodale della Chiesa è decisiva per preservare l’utopia e indicare una “road map” al mondo. Questo segnerà il suo compleanno, il significato che questo “appuntamento” può avere ai suoi occhi..

Una Chiesa sinodale non è una Chiesa sferica, nella quale siamo tutti appiattiti nella nostra equidistanza dal centro, la Curia romana, fonte prima e ultima dell’unità gerarchicamente imposta secondo la verità di Roma. La Chiesa sinodale è la Chiesa che preserva l’utopia della globalità, ma valorizzando le diversità. Essendo la Chiesa che ci chiede di “camminare insieme”, non ci chiede di avere tutti lo stesso passo, ma di essere rispettosi del passo dei più deboli, che altrimenti sarebbero lasciati indietro. E’ questa la sola ricetta per l’unità nelle diversità. La Chiesa sinodale integra, non esclude.

Questa sinodalità non elimina infatti le differenze culturali, le specificità dei popoli e dei loro punti di vista sul mondo, ma non ha neanche paura dell’unità della famiglia umana. Riscopre una “tradizione” cristiana, non fermandosi al tradizionalismo medievale, che vorrebbe eterizzare il Medio Evo e la sua necessità di comando centralizzato, gerarchico, fingendo che sia stato quello che c’è sempre stato e quindi che sempre ci sarà.

La sinodalità di Francesco fa riscoprire alla Chiesa la sua forma originaria, capendola come un miracolo di adeguatezza ai tempi correnti, a questo nostro tempo impaurito dalla globalità che  sembra appiattirci, e così inventando contrasti inconciliabili, scontri di civiltà, passati che non passano mai.

Questa è l’opera che Francesco sta intraprendendo a 87 anni, e lo obbligherà, a mio avviso, a cercare di guidarla fino alla sua conclusione. Ma nella consapevolezza che questo tempo assai più veloce del tempo passato rende difficile per un uomo della sua età governare in questi ritmi, a questi ritmi, una Chiesa di quasi un miliardo e mezzo di persone. Ha dovuto rinunciare ad andare a Cop28 per motivi di salute e gli sarà costato moltissimo.

L’età, imponendogli questo, imporrà di ragionare sui limiti dell’uomo; pericolosissimo pensare che non ne abbiamo. Ma il discorso deve considerare anche i limiti dell’efficientismo, che non può essere il solo paradigma vigente. Deve esserci un limite, anche all’efficienza.

Francesco sa certamente che nella conclusione di un pontificato c’è un messaggio. Il suo non sarà né per rafforzare il paradigma tecnocratico – che ha criticato in “Lardato si’”- né il martalismo ( da Marta, è il lavoro senza riposo, per cui il lavoro diviene tutto, che ha criticato proprio rivolgendosi alla Curia romana).  Dunque, senza voler dire che Francesco ragioni così o così, si possono  vedere pregi e difetti di ipotesi diverse. Al di là delle considerazioni di fede.

Francesco nella storia recente è il solo che ha vissuto la fase della presenza di un papa emerito, ne sa pregi e difetti, funzionalità e disfunzionalità. Sa bene che nessun papa, neanche dimissionario, determina il suo successore.  E sa che le differenze tra emerito e regnante possono essere di aiuto, ma anche che possono essere usate. Ha avuto un legame con Benedetto, ma anche problemi con chi gli era molto vicino, forse “troppo”.

Francesco, in passato,  ha apprezzato il coraggio di Benedetto, della sua rinuncia, ma ha anche parlato di papato “a vita”. Questo non vuol dire che così sarà, ma certo non lo esclude.

Di una cosa mi sento sicuro: non considererà l’ipotesi di lasciare prima del secondo appuntamento sulla sinodalità (una Chiesa tutta sinodale ha detto una volta, nel 2015), nel prossimo autunno. Poi penserà al bene della Chiesa sulla base delle sue condizioni, di quelle della sua Chiesa e di ciò che accadrà. Intanto merita un rispettoso augurio di buona salute e buon compleanno.

Il compleanno di Francesco e il futuro del pontificato

Ora che compie 87 anni Francesco ha certamente davanti la piena consapevolezza del suo tempo e dei suoi limiti, ma sa anche che l’opera intrapresa, quella della riforma sinodale della Chiesa, è decisiva per preservare l’utopia e indicare una “road map” al mondo. Questo segnerà il suo compleanno, il significato che questo “appuntamento” può avere ai suoi occhi

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