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Intesa raggiunta tra l’Iran e i mediatori del “5+1” che a Losanna hanno annunciato l’ok a un accordo quadro per la sospensione di due terzi della capacità di arricchimento dell’uranio da parte di Teheran in cambio dell’alleggerimento delle sanzioni. Il compromesso finale dovrà essere firmato entro il 30 giugno.

Quale il valore geopolitico e tecnico dell’intesa? Quali le conseguenze? E quali le reazioni di chi vi si opponeva, negli Usa come altrove?

Ecco alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Paolo Magri, vice presidente esecutivo e direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi).

Professor Magri, per cosa verrà ricordato questo accordo, qualora dovesse concretizzarsi?

L’aspetto più importante è quello politico. Segna, in una regione attraversata e turbata da conflitti e violenza, il trionfo della diplomazia multilaterale. I più importanti Paesi del mondo hanno negoziato con uno Stato che la comunità internazionale ha sanzionato e isolato per anni, trovando una soluzione.

Dal punto di vista geopolitico l’intesa porterà a un nuovo equilibrio, come ritiene Obama, o si tratta di un accordo che rischia di gettare ancor più il Medio Oriente nel caos, come teme Israele e non solo? L’editorialista Stefano Cingolani vede molte incognite.

La cosa curiosa di questo accordo è che ci sarebbero stati “scossoni” sia in patria per Obama sia nella regione in entrambi i casi, ovvero se l’accordo ci fosse stato o meno. Se non ci fosse stato, Obama sarebbe stato accusato negli Usa di ingenuità per aver investito tanto tempo in una discussione rivelatasi infruttuosa e nella regione l’Iran avrebbe avuto mani libere per produrre una bomba atomica e allora si sarebbe discusso di come intervenire per impedire ciò. In presenza accordo c’è ugualmente tensione, perché negli Stati Uniti i repubblicani dicono che il presidente Usa abbia svenduto la sicurezza americana e dei suoi alleati regionali accordandosi con un Paese poco affidabile; e nella regione molti vedono un rafforzamento dell’Iran come una minaccia. Ora bisognerà vedere cosa accadrà da qui a giugno, perché sicuramente ci saranno diversi tentativi di far saltare questa intesa.

Che tipo di azioni immagina?

Innanzitutto azioni del Congresso Usa. Non intravedo il rischio di interferenze di natura militare, perché nessuno può pensare di aprire uno scontro con l’Iran, che al momento è per giunta il principale oppositore dello Stato Islamico. Prevedo piuttosto una forte azione di lobby da parte degli israeliani americani. Qualcosa avverrà anche sul fronte sunnita, ma lì la situazione è diversa: vedremo se Obama sarà capace di rassicurare l’Arabia Saudita, e non solo, che liberare Teheran dalle sanzioni non vorrà dire abbandonare vecchi alleati per nuovi.

Che giudizio dà invece degli aspetti tecnici?

Da quello che si è appreso finora, in questo pre-accordo c’è molto più di quello che ritenessimo. Col protrarsi dei colloqui pensavamo che si sarebbe rimandato tutto ai prossimi mesi e che questa sarebbe stata un’intesa di facciata. In verità i punti più delicati sono giù chiariti. All’Iran sono stati posti molti più vincoli di quelli che ci si poteva attendere. Ad esempio saranno sospesi i due terzi delle attività di arricchimento dell’uranio e anche l’allentamento delle sanzioni non sarà così rapido come desiderava Teheran.

Nonostante ciò molti media occidentali sostengono che sarebbe stato meglio aspettare un altro po’, in modo da strappare un accordo ancora migliore.

Non sono d’accordo, perché non credo che sia un’intesa in cui gli americani abbiano abdicato ad alcuni aspetti fondamentali. Bisogna vedere come si chiuderà, innanzitutto. E poi mi sembra che con questa operazione Obama sia tornato ai valori che aveva professato nel 2008 al suo arrivo alla Casa Bianca e che raramente in questi anni ha implementato. Ha dimostrato che gli Usa non sanno solo usare la forza, ma anche negoziare. E ha affermato il valore della fiducia nella diplomazia multilaterale. Per questo, checché si pensi del risultato, siamo di fronte a uno straordinario esercizio di diplomazia, condiviso non solo con alleati storici, ma anche con un forte nemico del momento per gli Usa, come la Russia, e con un avversario prospettico come la Cina.

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