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Di fronte a dati allarmanti, come quelli che calcolano in un -30% la caduta degli investimenti italiani da inizio crisi, è giocoforza chiedersi come e perché sia potuto accadere tutto questo, se non altro per trarne un qualche ammaestramento per il futuro, ammesso che fossimo capaci di imparare dai nostri errori, piuttosto che ripeterli con fastidiosa regolarità.

Mi ha soccorso, in questa difficile opera di comprensione, un box che ho trovato nella relazione annuale di Bankitalia, che ospita un grafico nel quale la fantasia econometrica dei nostri studiosi ha dato veramente il meglio di sè sforzandosi di isolare le diverse componenti che possono aver determinato un siffatto disastro, che non è esagerato definire storico.

La componenti che determinano il flusso degli investimenti, secondo questa schematizzazione, sono cinque: l’incertezza, l’offerta di credito, il costo del capitale, il clima di fiducia e il valore aggiunto. Alcune di queste variabili hanno dignità statistica, altre sono stime e come tali vanno considerate, ossia disperati tentativi di dare corpo quantitativo a entità qualitative, come possono essere appunto il livello di incertezza e il clima di fiducia.

In questa incarnazione numerica di fenomeni squisitamente immateriali leggo il paradosso della cosiddetta scienza economica, che s’illude di misurare l’incommensurabile, senza il quale, peraltro, il misurabile non avrebbe senso economico alcuno. E la parabola degli investimenti declinanti italiana ne è chiara evidenza.

La storia comincia nel 2007 quando, contrariamente a quanto sostiene la vulgata, il declino degli investimenti italiano era già ben avviato. Al termine di quell’anno la curva degli investimenti tocca zero, portandosi in territorio negativo già nel primo semestre 2008, ossia ancor prima che l’autunno americano di Lehman Brothers allungasse le sue perturbazioni barometriche fino a noi.

Perché gli investimenti pre crisi declinano?

I nostri econometristi stimano che gran parte della responsabilità sia stata del costo del capitale, ancora troppo alto, almeno secondo gli standard dei tempi dello zero lower bound.

Ma guardando alle componenti ancora positive di quel periodo, osservo soprattutto che è il clima di fiducia che lentamente sparisce e solo in conseguenza scompare con lui l’offerta di credito. Ciò malgrado l’incertezza rimana stabile per tutto questo periodo e il valore aggiunto, che potremmo intendere come il livello del profitto atteso, rimanga quasi costante fino alla seconda metà del 2008.

Non chiedetemi cosa sia il clima di fiducia. E’ una di quelle cose che tutti sanno cosa siano, ma appena la si provi a definirla inevitabilmente si sbaglia. Ed è su questo che si basa l’economia, a ben vedere, quindi la disciplina che si propone di trovare i giusti prezzi di equilibrio. Ossia si basa su una cosa che non ha prezzo.

Quando inizia la fase terribile di fine 2008-2009, tute le componenti entrano in territorio negativo e contribuiscono a far sprofondare la nostra curva degli investimenti a quasi il -20%.

Nel 2010 il costo del capitale più basso e il tornare a far capolino del valore aggiunto riportano su la curva degli investimenti, ma è solo a metà del 2010 che riappare la fiducia che contribuisce ad abbattere l’incertezza, e compensando anche l’ancora timida offerta di credito, appena accennata lungo tutto il 2010 e il 2011.

La fiducia sostiene la curva degli investimenti fin a tutto il 2011, fino al terribile autunno di quell’anno, quando l’aumento costo del capitale – la crisi degli spread – il crollo dell’offerta di credito e lo sprofondarsi del valore aggiunto, che insieme alla fiducia approssima secondo Bankitalia le condizioni della domanda, tornano a far sprofondare la curva degli investimenti fino al -12%.

L’offerta di credito riappare, sempre timida, nel 2013, insieme a una robusta componente positiva rappresentata dal costo del capitale, che le politiche della Bce ormai hanno reso più che conveniente. Ma la fiducia?

Appare timida fra il finire del 2013 e i primi tre trimestri del 2014, ma già nel quarto è ridotta al lumicino, malgrado l’fferta di credito delle banche, per la prima volta da metà 2008, torna a un livello visibile.

A tal proposito Bankitalia spiega che “i vincoli imposti dall’offerta di credito spiegano circa un terzo
della riduzione degli investimenti nei periodi di crisi più acuta, il biennio 2008-09 e quello 2012-13; anche la loro influenza, tuttavia, è poi progressivamente venuta meno, con il normalizzarsi dei mercati finanziari e l’attenuazione delle tensioni sul debito sovrano”.

Ma adesso? “Nella fase attuale – spiega Bankitalia – la fase di accumulazione resta frenata dalle prospettive di domanda ancora bassa, seppure in ripresa, e dalla residua incertezza sull’evoluzione dell’economia”.

Quindi l’incertezza sull’economia frena le prospettive dell’economia. Con buona pace del credito facile ed economico.

Non sarà che serve un po’ di fiducia?

La sfiducia più del credit crunch fa crollare gli investimenti italiani

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