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Lo avevamo previsto, su Formiche.net, dopo le elezioni in Grecia e l’apertura di nuove trattative tra Atene e le istituzioni internazionali. Nel “gioco a due livelli” tra i partner dell’UE si sarebbe prima o poi arrivati ad un “gioco ad ultimatum”. Ricordiamo di cosa si tratta. 

All’inizio degli Anni Ottanta, furono un libro ed alcuni saggi di Piercarlo Padoan (scritti a quattro mani con Paolo Guerrieri, ora senatore del Pd, entrambi professori alla Università Sapienza di Roma) a portare in Europa questa teoria, che allora stava facendo i primi passi negli Usa. Padoan e Guerrieri ne divennero “capi scuola”. In sintesi, nell’eurozona è in corso un gioco a più livelli in cui ciascuno dei partecipanti deve massimizzare obiettivi di “reputazione” e di “popolarità” differenti (e in certi casi divergenti) di fronte alle altre parti in causa. Tutti devono mantenere una buona reputazione rispetto agli altri soci dell’eurozona e presentarsi come convinti assertori della moneta unica. In termini di popolarità, però, ciascun partner risponde alla propria opinione pubblica.

I “falchi” devono massimizzarla nei riguardi, ad esempio, di quel 73% di tedeschi che secondo gli ultimi sondaggi sarebbero «stanchi e stufi» della Grecia. Le “colombe”, invece, non possono non prendere l’affaire Grecia come strumento per andare verso l’unione monetaria più flessibile chiesta da movimenti che risultano vincenti alle elezioni. E la Grecia? Il governo in carica sa che la propria popolarità dipende un elettorato arrabbiato a cui occorre rispondere.

La teoria indica in sistemi di equazioni gli strumenti per trovare la soluzione. Su Formiche.net è stata anche delineata una soluzione che avrebbe potuto salvare capre e cavoli. Tuttavia, nella prima fase, la trattativa pareva essere andata meglio del previsto. Dopo un inizio duro, anzi durissimo, del Presidente del Consiglio greco, e soprattutto del suo pittoresco ministro delle finanze greco-texano, con la mediazione di Francia e soprattutto d’ Italia, si è arrivati ad un compromesso: un rinvio di quattro mesi al pagamento delle scadenze del debito greco (altrimenti si sarebbe andati dritti dritti al default ) e l’impegno a presentare un piano realistico di riassetto strutturale dell’economia.

Il “piano”, prima di 14 e poi di 7 punti, non solo è vago ma ha aspetti risibili, tra cui l’ingaggio a titolo volontario di studenti e turisti per denunciare nella lotta contro l’evasione tributaria, bar, ristoranti, alberghi e negozi che non rilasciano lo scontrino fiscale. Tutto ciò mentre all’aeroporto del Pireo partono ricchi greci con valige piene di banconote (nella convinzione che tra breve la Grecia lascerà, volente o nolente, la moneta unica e il nuovo conio subirà uno forte svalutazione; è stato preso con le mani nel sacco lo stesso ex-Ministro del Finanze (del Governo Samaras) Gigas Horduvelis.

Dopo averlo adombrato nei primi giorni del negoziato, ora Tsipras e Varoufakis hanno utilizzato quella che pensano essere l’arma fatale: un “gioco ad ultimatum” (quale quello tra Don Giovanni ed il Commendatore nelle varie versioni del mito del burlador de Seville): sia i greci sia la Bce sia altri hanno lanciato ultimatum. Tuttavia, a differenza del mito del burlador, nessuno vuole che l’avversario soccomba ma hanno tutti interesse a mantenere “reputazione” all’interno dell’eurozona e “popolarità” riguardo i propri elettori. La richiesta che la Germania e l’Austria paghino alla Grecia “le riparazioni di guerra” e la minaccia di pignorare quanto di tedesco ed austriaco sia sul suolo greco (ed anche altrove, ove i tribunali internazionali lo concedessero) è un vero ‘gioco ad ultimatum’.

La richiesta parte da una vicenda di non troppi anni fa. Nel 2000 un tribunale greco, dopo decenni di indagini e dibattimenti, stabilì un indennizzo di 28 milioni di euro per una rappresaglia avvenuta nel villaggio di Distomo nel 1944 dove persero la via 280 persone (in effetti una Fosse Ardeatine o Marzabotto ellenica). Allora, la Corte Suprema Ellenica convalidò la sentenza e stabilì che Berlino e Vienna dovevano erogare i 28 milioni, ma il Ministro della Giustizia ne sospese l’attuazione perché era in ballo l’adesione della Grecia all’Ue, ed al pari di quanto si ripeté dieci anni dopo per l’ingresso di Atene nell’euro, gli uffici tecnici della Commissione, ossia l’Eurostat, avevano concluso che ne mancavano i presupposti.

In breve, la Grecia entro nell’UE e nell’euro e di Distomo non si parlò più sino all’altro ieri. Oggi la rappresaglia   Distomo viene utilizzata come un grimaldello per contabilizzare il valore attualizzato del ‘prestito forzoso’, di danni di guerra, a cui vengono aggiunte le riparazioni. Guardando le cifre, Berlino (ed in parte molto minore Vienna) si dovrebbero, in pratica, far carico di quasi tutto il debito greco. Germania ed Austria hanno già risposto per le rime. Lo ha fatto anche il diritto internazionale: memore dei trattati successive alla Prima Guerra Mondiale, dopo la Seconda si è stipulato un accordo specifico sulle ‘riparazioni’ di Germania ed Austria, firmato e ratificato anche dalla Grecia.

In effetti, a questo punto, sembra difficile che Atene possa restare nell’eurozona (lo dice con in propri comportamenti lo stesso ex Ministro delle Finanze Gigas Horduvelis. O vi resta ma cambia drasticamente atteggiamento. O ne esce, volente o nolente.

Ciò pone un problema grave per l’Italia, grande mediatore e grande esternatore di baci e abbracci televisivi. Nell’immediato sono in ballo i 30-40 miliardi di aiuti alla Grecia (che non verrebbero mai restituiti). Da un altro c’è il rischio del ‘contagio’. Non se ne parlava da tempo ma proprio il 10 Marzo, mentre Atene lanciava l’ultimato un’analisi di Sylvester C.W. Eijffinger, Michal Kobielarz, e Burak Ursa (tutti e tre dell’università di Tilburgo), il CEPR Discussion Paper No. DP10459) avvertiva che Italia e Portogallo sarebbero a rischio.

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