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Il paradigma della globalizzazione, dove la volontà di fare business prevaleva su tutte le altre categorie, compresa quella securitaria, è valso per circa trent’anni. Ma ora non lo è più. Al suo posto è subentrato un ordine meno lineare e più complesso. Un mondo non più piatto. E questa nuova complessità passa indubbiamente per l’Indo Pacifico.

Proprio a questo tema è stato dedicato l’incontro “Rischio Geopolitico nell’Indo Pacifico. Cosa cambia dopo le elezioni a Taiwan e il conflitto a Gaza” co-organizzato da Formiche e da Simest. La tavola rotonda, svoltasi il 23 febbraio, è stata animata dalle valutazioni dei docenti Silvia Menegazzi (Luiss), Stefano Pelaggi (Sapienza) e Giulio Pugliese, e dagli interventi di esponenti delle aziende, del mondo accademico e delle istituzioni, con l’obiettivo di stimolare l’analisi dello scenario in questione secondo la più ampia prospettiva possibile.

“Con il conflitto russo-ucraino, l’ordine internazionale costituito a seguito della Seconda guerra mondiale è gravemente compromesso. Ci troviamo di fronte a una nuova complessità globale che richiede una riconsiderazione delle dinamiche economiche e di sicurezza. Le sfide della competizione internazionale e l’instabilità crescente mettono in evidenza l’importanza della geopolitica nelle decisioni economiche e il concetto di autonomia strategica, nell’ambito di un sistema di valori condiviso”, ha detto Pasquale Salzano, presidente di Simest, in apertura della discussione.

“Le istituzioni nazionali come Simest sono al fianco del sistema produttivo italiano, altamente orientato all’export, per continuare a cogliere le opportunità del commercio internazionale e garantire simultaneamente la sicurezza delle catene globali del valore. Investire in partnership strategiche, come nell’Indo Pacifico, una regione che rappresenta il 60% del Pil mondiale, può assicurare maggiore stabilità delle forniture e promuovere la crescita economica”, ha aggiunto.

Il tema che emerge è come questa alterazione del flusso delle dinamiche internazionali si stia ripercuotendo in modo diretto sui sistemi economici, finanziari e commerciali, che sono quelli che forniscono prosperità alle collettività.

Diventa più chiaro perché paesi importanti come il Giappone abbiano visto la transizione dal concetto di “Asia Pacifico” a quello di “Indo Pacifico” come necessaria. Questo ha in parte spostato l’attenzione dalla Cina e dalle sue dinamiche, infatti, considerando oltre al rischio politico e geopolitico che porta a nuovi paradigmi, anche la crescita contemporanea di altri attori emergenti nel Sudest asiatico o nel Golfo.

Ciò non toglie che Pechino rimane il Paese che pone la sfida maggiore nel nuovo “disordine mondiale”. L’obiettivo della leadership cinese, secondo l’analisi del panel, è quello di mantenere una certa narrazione, sia interna che internazionale, sulla sostenibilità della crescita del Dragone. E per farlo, la leadership cinese spinge anche un rafforzamento del ruolo del Partito/Stato sulla politica economica, che impone anche un processo di securitizzazione dell’economia stessa. Leggi come quella sull’educazione patriottica, la charity law, la foreign state immunity law e la revisione della counterespionage law, sono esempi perfetti, in quanto punti di rottura col passato. E soprattutto, uno tra quei paradigmi che portano a ulteriori ragionamenti su come il potere politico si incastri con lo sviluppo economico.

Parallelamente, e secondo l’analisi emersa dal dibattito anche come conseguenza, si sviluppano dinamiche alternative. Potenze già affermate come l’India offrono la loro capacità di bilanciamento al potere cinese, emergono Filippine, Indonesia, Vietnam, Thailandia o Malesia. Sboccia Taiwan, centro propulsivo per un’industria vitale come quella dei semiconduttori, ma anche punto di bilanciamento di un confronto geopolitico e geo-strategico che influenza tutto l’Indo Pacifico e il mondo intero.

È stato lo stesso rappresentante diplomatico di Taipei in Italia, l’ambasciatore Vincent Tsai, a evidenziare al tavolo valore di Taiwan all’interno del mercato globale. L’isola ha peculiarità straordinarie, come l’industria dei chip, è una connotazione geo-strategica che la rende al centro delle dinamiche del commercio internazionale.

Le nuove regole del gioco in questa fase di revisione della globalizzazione che stiamo attualmente vivendo portano certe realtà in testa all’agenda delle priorità negli affari internazionali, perché dalle unicità taiwanesi alla potenza demografica indiana, dallo sviluppo indonesiano alla strategicità vietnamita segneranno lo sviluppo delle prossime rotte economiche globale.

E come si posiziona in tutto questo il nostro Paese? Secondo Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, “la nostra ambizione è quella di arrivare ad avere una visione italiana sull’Indo Pacifico, che ancora non esiste. L’ambizione dell’Italia dev’essere quella di avere una propria policy che possa contribuire alla più generale visione europea, e non adattarsi a questa passivamente”.

Sfruttando gli strumenti a disposizione, dalla naval diplomacy ai collegamenti industriali, dalle nuove rotte collegate all’Imec ai grandi progetti come il Gcap, l’Italia ha un suo ruolo e dunque può avere una sua postura nei confronti della regione e delle dinamiche che la caratterizzano. E la presidenza italiana del G7 che quest’anno tocca a Roma, con il gruppo naturalmente orientato ad interessarsi a questo tipo di evoluzioni, potrebbe essere un pivot per lo sviluppo di un comprehensive approach a livello nazionale, su cui è già al lavoro il Comitato Indo Pacifico integrato nella struttura della Commissione Esteri della Camera.

Un approccio strutturale, assieme ad una maggiore attenzione, sono fondamentali per sviluppare una policy coerente ed efficace per affrontare il processo di securitarizzazione degli aspetti economici e commerciali attualmente in corso nell’area Indo-Pacifica. Processo che stravolge le dinamiche pre-esistenti e rende necessaria una cognizione trasversale sui Paesi della regione, tanto sul piano interno quanto su quello dei rapporti internazionali.

Ragion per cui attori istituzionali come Simest si interessano a queste dinamiche, così come aziende e investitori intendono aumentare la propria conoscenza dei flussi politici e geopolitici in corso, frutto di una consapevolezza che fare business a occhi chiusi non è più possibile nel mondo attuale. A maggior ragione in un’area complessa, quanto ricca di opportunità, come l’Indo Pacifico.

Ecco le rotte indo-pacifiche della nuova globalizzazione. L’evento di Formiche con Simest

L’evoluzione (o la dissoluzione) del sistema internazionale ha portato cambiamenti profondi e trasversali nella regione dell’Indo-Pacifico, stravolgendo i rapporti pre-esistenti tra la dimensione economica, quella politica e quella securitaria. E rendendo necessario un approccio diverso

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