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Italia e Germania devono superare pregiudizi e diffidenze radicati per promuovere la rinascita economico-sociale di un Vecchio Continente in preda alla stagnazione economica prolungata.

È il messaggio lanciato dal “Dialogo italo-tedesco sul futuro dell’Europa”, promosso da Istituto Affari Internazionali e Institut für Europäische Politik alla Residenza Ripetta di Roma.

Le sfide molteplici dell’Unione Europea

Un’iniziativa che vede prevalere le ragioni di consonanza sui punti di dissenso e le incognite relative alla collaborazione tra due realtà cruciali nel percorso di integrazione comunitaria.

Condivisione tanto più rilevante nel giorno in cui la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi approva l’intervento di acquisizione di titoli di Stato pari a 60 miliardi mensili per 18 mesi.

E che abbraccia temi nevralgici come il programma di investimenti pubblici preannunciato dalla nuova Commissione Ue, la più marcata flessibilità nell’applicazione dei vincoli finanziari comunitari, la sfida di un mercato energetico innovativo e di un’autentica integrazione fiscale, l’urgenza di una politica estera efficace nei confronti delle minacce del fanatismo islamico.

Il tutto in vista della scelta del Regno Unito di rinegoziare i termini di appartenenza all’Unione e dell’impegno del futuro governo greco rispetto al risanamento dei propri conti pubblici.

Archiviare un duplice luogo comune

La cooperazione sinergica tra Roma e Berlino soprattutto in campo economico, rileva il segretario generale del Ministero degli Esteri ed ex ambasciatore in Germania Michele Valensise, è fondamentale visto che i due paesi sono riusciti a mantenere vivo un tessuto manifatturiero di eccellenza.

Il commercio esistente tra le due nazioni, ricorda il direttore generale per le Politiche europee del Ministero dell’Economia e Energia di Berlino Claudia Dörr-Voß, vede 2.800 aziende tedesche attive nel nostro paese con la creazione di 190mila posti di lavoro. Cifre analoghe vengono registrate per le 2.500 nostre imprese operanti oltre il Brennero: “Tante realtà produttive flessibili, ricche di personale altamente preparato e di rango elevato nel comparto manifatturiero”.

Per tale ragione il diplomatico italiano auspica il superamento di stereotipi tenaci come quello di un governo tedesco “arcigno guardiano” e dell’Italia come “paese leggero e poco affidabile”. A suo giudizio solo così potremmo sconfiggere le tentazioni populiste ed euro-scettiche presenti nel Vecchio Continente.

La Germania non nutre pulsioni egemoniche

Lungi dall’accogliere le critiche alle “pulsioni egemoniche” avanzate da analisti e commentatori, l’alto dirigente apprezza “la ripresa a Berlino di un senso di solidarietà verso i partner impegnati nel percorso di integrazione Ue”.

Il governo di Angela Merkel, aggiunge il capo del Dipartimento Economia, Finanze e Affari Sociali dell’Ambasciata tedesca a Roma Martina Nibbeling-Wriessnig, è consapevole dell’esigenza di rafforzare i processi di unificazione europea affinché l’Ue possa giocare un ruolo centrale nei processi di pace e nei mercati mondiali.

Ma riconosce che “ci muoviamo troppo lentamente verso un’Europa federale, poiché mancano risorse e strutture adeguate di condivisione e partecipazione politica dei cittadini del Vecchio Continente”.

Come rafforzare competitività, crescita e occupazione

Italia e Germania sono in grado di adottare una strategia condivisa per favorire la crescita e promuovere la creazione di lavoro, coniugando la stabilità di bilancio con gli obiettivi del Fondo europeo di investimenti strategici lanciato da Jean-Claude Juncker?

Una risposta positiva giunge da Doris Barnett, parlamentare tedesca della Spd e componente della Commissione Bilancio del Bundestag. La quale pone un requisito fondamentale per valorizzare le potenzialità dell’Unione Europea – seconda economia del mondo – e dell’Italia: “Realizzare le riforme necessarie per il rilancio della competitività, già promosse con fatica e sacrifici dalla Germania oltre 10 anni fa”.

È così che a suo parere si possono sbloccare e utilizzare in modo virtuoso i 6 miliardi stanziati dalle istituzioni europee per l’occupazione giovanile nel periodo 2014-2020, favorire investimenti nelle energie rinnovabili in aree come il Mezzogiorno del nostro paese, promuovere lo sviluppo delle reti di trasporto e della ricerca.

Non basta l’intervento della Bce

Tuttavia, evidenzia il parlamentare del Partito democratico e professore di Economia Internazionale all’Università “La Sapienza” di Roma Paolo Guerrieri, l’economia reale europea registra la persistenza di un ristagno nonostante i timidi segnali di ripresa. “Fuoriuscire da tale immobilismo è necessario per non mettere molti paesi Ue a rischio di non onorare i propri debiti pubblici”.

Le scelte innovative e coraggiose di politica economica europea, osserva l’esponente del Pd, richiedono un compromesso tra consolidamento dei conti, rilancio tramite investimenti produttivi della richiesta interna di beni e servizi crollata di 2 punti percentuali rispetto al 2008, riforme strutturali per promuovere la proiezione internazionale delle imprese. “Perché non è sufficiente la meritoria iniziativa messa in campo da Draghi”.

Le riserve sul piano Juncker

Ragionamento che trova eco nelle parole di Fabrizio Saccomanni, vice-presidente dell’Istituto Affari Internazionali e già titolare del ministero dell’Economia nel governo Letta. Saccomanni, già direttore generale della Banca d’Italia, ricorda come le istituzioni europee “abbiano perso troppo tempo a gestire la tempesta finanziaria, lasciando irrisolta una ‘crisi esistenziale’ dell’economia reale e senza ridurre il peso dei debiti sovrani”.

Manifestando riserve sulla capacità del progetto della Commissione Ue di moltiplicare le risorse per investimenti produttivi pubblici e privati facendo leva sui 20 miliardi iniziali grazie al ruolo della Banca europea degli investimenti, l’ex capo del Tesoro ritiene essenziale un’iniziativa fondata su tre pilastri: strategia monetaria espansiva, coordinamento delle politiche fiscali europee con il coinvolgimento dei parlamenti nazionali, maggiore contributo delle nazioni in surplus come la Germania verso il fondo di investimenti messo a punto dall’esecutivo di Bruxelles.

Perché Saccomanni borbotta su Draghi, Juncker e Merkel

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