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L’emozione per l’elezione di Leone XIV non finisce. Persevera, come la sua invocazione di una “pace disarmata e disarmante, umile e perseverante”. È un’emozione generale alimentata dalla profonda scossa delle coscienze provocata dall’esclamazione del nuovo Papa, proveniente dall’Ordine di Sant’Agostino, che “il male non prevarrà… Vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, cerca sempre la carità, cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono”.

È l’annuncio di un pontificato rivoluzionario nell’accezione agostiniana del termine e in relazione al nome scelto, di successore di papa Leone XIII, il visionario pontefice dell’enciclica Rerum Novarum, la dottrina sociale della Chiesa sul lavoro, ancora esempio di democrazia e di fede. Quella di Agostino, il Santo illuminato che rifondò la Chiesa incanalandola alla scoperta dell’anima, rappresenta per Robert Francis Prevost che vi aggiunge l’esperienza missionaria in Perù, l’eredità permanente della missione di spingere e assistere la coscienza dei fedeli e dell’umanità a saper scegliere, sotto la guida di Dio, fra il bene e il male.

Un’eredità raccolta ma portata oltre le estreme conseguenze secoli prima da un altro frate agostiniano: Martin Lutero, promotore di una riforma protestante che assieme al tragico bilancio delle guerre di religione ha comunque il merito d’avere anticipato la fine del potere temporale della Chiesa.

Di Leone XIII il nuovo papa ha già evidenziato nelle prime straordinarie parole pronunciate con grande commozione subito dopo l’elezione, davanti al mondo intero e alla folla straripante di Piazza San Pietro, di avere colto tutta la rilevanza dell’altra Enciclica, la Immortale Dei, quasi dimenticata ma essenziale per il ruolo internazionale della Chiesa, pronta ad accettare qualunque costituzione e qualunque organizzazione politica dei governi degli Stati purché orientate al bene comune dei cittadini e della società civile.

Non è poco per l’incipit di un pontificato già scattato in avanti, risollevando come d’incanto una bimillenaria istituzione religiosa, animata da una inesauribile fede, ma anchilosata e insidiata da ritardi culturali e sociali che non le consentono di stare al passo col tumultuoso sviluppo di una società sempre più secolarizzata, spersonalizzata e immedesimata nell’avvento globale del web e dei social. Un balzo nel presente e nel futuro che di fatto, con l’insistenza delle dieci invocazioni della pace, fa scavalcare di slancio al Vaticano la paralisi imbarazzante del ruolo ormai stantio e esclusivamente autoreferenziale dell’Onu.

La sola constatazione che non si può implorare la pace senza che poi non ci si attivi per promuoverla, lascia intravedere delle immediate iniziative di papa Prevost. Incontri con Putin, Zelensky, Trump, Netanyahu e viaggi a Mosca, a Kyiv e a Gaza? Attese epocali e responsabilità esistenziali, da compiere con una  graduale ma costante evoluzione dell’assetto della Chiesa.

Spazzate vie dalla perentorietà della scelta del Conclave tutte le alchimie più mediatiche che reali circa i retroscena della ennesima deblacle dei papabili italiani e sulle varie cordate cardinalizie, in primo piano restano l’urgenza dell’adeguamento delle gerarchie vaticane e dell’organizzazione ecclesiale, la valutazione del ruolo delle donne, il discernimento sul mantenimento o l’affievolimento del celibato, l’ampliamento in relazione all’accresciuta estensione delle diocesi in tutti i continenti, del numero dei Cardinali in maniera da assicurare la Porpora non solo alle storiche arcidiocesi italiane di Milano, Venezia e Palermo, ed estere di Parigi, Lisbona e Buenos Aires che ne sono tuttora prive, ma a tutte le principali città in maniera da incentivare con la prospettiva di carriera ecclesiastica le vocazioni sacerdotali.

Scelte destinate a scuotere dalle fondamenta la Chiesa Universale e che rappresentano l’orizzonte di un papato che sarà in ogni caso profondamente riformatore e per certi versi dirompente, già inscritto nel pensiero di Sant’Agostino, ma che da studioso e da matematico Leone XIV contempererà con la celebre massima di San Tommaso Moro, grande ammiratore di Sant’Agostino: “Signore concedimi la forza di cambiare le cose che posso cambiare, la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, e soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere”.

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