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Dialogare, dialogare e poi ancora dialogare, perché “…fino a quando si sta seduti ad un tavolo, non si spara”. E’ solo uno dei sacrosanti concetti che un tempo ci venivano insegnati, ma che non trovano più riscontro nella realtà quotidiana. Poi, ai tempi della crisi balcanica, nel corso dei lunghi colloqui di Dayton avevamo imparato un’altra cosa. Prima si cerca di dialogare e dopo, se non ci sono progressi, si bombarda. Allora i colloqui riprendono con migliori propositi, ma poi, di nuovo insoddisfatti, si bombarda ancora.

E così via, stop and go, fino a quando non si raggiunge l’accordo. Oggi stiamo superando noi stessi: più raffinati, riusciamo a fare entrambe le cose assieme: colloquiare e sparare. E’ il caso del secondo vertice a Minsk. Risultato? L’accordo stentato, fragile e parziale che ormai tutti conoscono, contro solo una cinquantina di morti nel Donbass durante le trattative.

Ora, gli scenari che sembrano delinearsi per il “dopo” sono almeno tre: normalizzazione, progressiva escalation o una sorta di pace fredda.

Nel primo, l’Ucraina preserverebbe l’integrità, le aree russofone avrebbero ampia autonomia e Kiev rimarrebbe la capitale sovrana di uno stato federale indipendente, ma di fatto nell’orbita russa: una sorta di “finlandizzazione”, o qualcosa di molto vicino alla prima proposta dell’Osce. Oltranzisti a parte (ve ne sono da entrambi i lati), in questo caso l’Unione Europea e la Nato dovrebbero accontentarsi di amichevoli relazioni con l’Ucraina e della sicurezza dei propri confini.
Soluzione accettabile per Mosca, non più umiliata e mortificata, e anche per Stati Uniti e Ue, che senza avventure vedrebbero cautamente normalizzarsi le relazioni con la Russia.
In alternativa, si potrebbe intravedere un intervento militare russo, limitato a strappare al controllo centrale il Donbass, ma senza annetterlo, con qualche diversione verso Kiev, oltre il Dniepr. Anche qui, niente intervento militare diretto, ma istituzione di una linea di separazione Onu-Osce nell’ambito del Capitolo VI (peace keeping).

Lo scenario più pericoloso – ma per fortuna anche il meno probabile – sarebbe un’altra avanzata strisciante di russi e filorussi verso Occidente, con giochi di prestigio di un abilissimo Putin tesi al doppio decoupling tra Ue, Usa e Nato. Si potrebbe assistere, allora, a una risposta limitata degli Usa con i “volonterosi” (Polonia e Paesi Baltici?) contro la Russia o, in alternativa, al conseguimento dei propri scopi (anche questi limitati) da parte di Mosca.

Siccome ormai è chiaro che nessuno, in Occidente, vuole morire per Kiev, come caso più probabile saremo costretti a convivere a lungo con un prolungamento semifreddo della situazione attuale: ancora morti, ma pochi, solo tra gli oltranzisti delle due parti e qualche sfortunato civile. Con il tempo, tanto tempo, la situazione interna ucraina troverebbe comunque, se non altro per stanchezza da logoramento, una qualche forma autonoma di tacita composizione.

Guardia ancora più alta di Nato e Usa, non tanto per le sorti di ciò che resta dell’Ucraina, quanto per tranquillizzare gli apprensivi alleati dell’Est, e roboanti minacce di escalation dalla Russia, che non può permettersi molto di più. Servono, comunque, a salvare la faccia. Da parte Usa, una sorta di “politica di contenimento” limitata, ma abbastanza simile a quella d’altri tempi. Tutti in cagnesco, ma in segreto ben contenti di poter proseguire gli affari.

Il gioco dell’oca termina qui: siamo ritornati alla casella di partenza.

Ucraina, ecco i tre scenari dopo la tregua

Dialogare, dialogare e poi ancora dialogare, perché “…fino a quando si sta seduti ad un tavolo, non si spara”. E’ solo uno dei sacrosanti concetti che un tempo ci venivano insegnati, ma che non trovano più riscontro nella realtà quotidiana. Poi, ai tempi della crisi balcanica, nel corso dei lunghi colloqui di Dayton avevamo imparato un’altra cosa. Prima si cerca…

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