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Il tempo della clemenza, in Cina, sembra aver fatto il suo corso. La campagna anti-corruzione portata avanti da Xi Jinping appare oggi scevra del suo carattere ideologico e più incentrata sulla sua componente pragmatica.

Lo scorso 21 aprile, Shannon Tiezzi ha pubblicato un articolo su “The Diplomat” dal titolo Zhou Yongkang’s Greastest Crime in cui vengono messi in luce nuovi elementi sulla campagna anti-corruzione inaugurata con l’ascesa al potere di Xi Jinping. Sebbene a primo acchito la notizia non sembri aggiungere elementi degni di nota, dopo una attenta lettura è possibile riscontrare delle nuove potenziali chiavi di lettura. L’ondata di epurazioni all’interno del Partito Comunista cinese sembra seguire una traiettoria ben definita, che alla luce delle ultime vicende pare delinearsi in maniera ancora più lampante.

Con la Terza Sessione Plenaria del Diciottesimo Comitato Centrale (Novembre 2013) si è aperta una nuova era per l’Impero di Mezzo, poiché la nuova nomenklatura cinese appare pienamente intenzionata a mutare radicalmente il volto stantio della vecchia guardia. Il percorso verso la modernità intrapreso dal Presidente cinese, Xi Jinping, si è concretizzato in scelte politiche mirate ad abbattere quelle reticenze conservatrici tipiche delle leadership precedenti.

In uno dei suoi discorsi iniziali, Xi affermò che la lotta alla corruzione avrebbe rappresentato uno dei principali leitmotif della sua agenda politica, tanto da colpire sia “le tigri che le mosche”. Tale approccio sembra essere confermato dalle vicende in corso a Pechino riguardanti l’espulsione di uno dei maggiori esponenti del Partito Comunista Cinese, Zhou Yongkang.

UNA NUOVA “RIVOLUZIONE CULTURALE”

Sulla stampa occidentale i parallelismi con il periodo della Rivoluzione Culturale appaiono quanto mai inflazionati. L’eccessiva burocratizzazione dell’impianto partitico spinse Mao a ripensare la natura stessa del Partito comunista cinese, mobilitando le masse contro l’essenza stessa della Repubblica Popolare.

In realtà, si trattava di puro e semplice “opportunismo politico” per ridare legittimità alla guida carismatica del suo Timoniere. Mutatis mutandis, ciò che appare lampante nella Cina odierna è la volontà da parte della nuova dirigenza di regnare sovrana sul Paese, scardinando le voci dissonanti all’interno del Partito. I mezzi adoperati restano invariati, poiché funzionanti e funzionali alle esigenze di parte.

Dopo una lunga trafila investigativa, è stato espulso dal Partito Comunista e consegnato alle autorità giudiziarie Zhou Yongkang. Si tratta di una della maggiori figure di spicco del Partito Comunista, membro del Comitato Permanente del Politburo e responsabile della sicurezza cinese, accusato di molteplici reati (appropriazione di beni pubblici, tangenti e diffusione di segreti di Stato, solo per citarne alcuni). La vicenda si era aperta lo scorso luglio, quando Zhou era stato messo sotto inchiesta, ma le recenti indiscrezioni pongono elementi di notevole interesse per la comprensione dell’azione politica adottata da Xi Jinping.

“Bloomberg”, in un recente articolo (Former China Security Head Spied on Leaders, Probe Said to Find) ha riaperto il dibattito in corso tra gli analisti Occidentali circa i veri obiettivi della campagna anti-corruzione. Sin dal suo insediamento Xi ha utilizzato le epurazioni come strumento per ri-plasmare il volto del Partito Comunista, tuttavia non è soltanto la necessità di trasparenza a muovere le intenzioni del Presidente. Le ultime indiscrezioni sul “processo Zhou” sembrano condurre verso altre forme interpretative, incentrate sull’estromissione di certe frange del Partito ostili alla visione di lungo periodo dell’attuale classe dirigente.

I VERI OBIETTIVI DELLA CAMPAGNA ANTI-CORRUZIONE

La campagna anti-corruzione sembrerebbe seguire tre principali direttrici. In primo luogo, dovrebbe servire come monito ai membri del PCC. In una fase economica traballante è necessario un controllo serrato sulle casse dello Stato. La maggior parte della popolazione cinese vive in condizioni di sussistenza economica, pertanto l’elevato tasso di corruzione metterebbe a repentaglio la credibilità del regime. L’arricchimento sfrenato dei quadri del Partito delegittima la natura “autoritaria” dello Stato e pone serie problematiche di ordine interno.

In secondo luogo, la campagna intrapresa da Xi sarebbe volta all’abbattimento di interessi costituiti che si oppongono o frenano i tentativi di trasformazione della Cina in un’economia avanzata. Zhou, oltre ad aver ricoperto cariche istituzionali di spicco, era riuscito a consolidare la sua posizione all’interno della grande industria pesante di Stato.

Infine, l’aspetto più interessante risiede nel carattere puramente opportunistico delle scelte politiche intraprese da Xi, che mirano al perseguimento della legittimazione politica. Uno dei capi di imputazioni a carico di Zhou Yongkang, mai confermato ufficialmente dagli organi di stampa del Partito, sarebbe legato all’organizzazione di un colpo di Stato contro l’attuale Presidente e Segretario del Partito, Xi Jinping. Zhou, Bo Xilai e altri due alti esponenti – anch’essi deposti per corruzione, Ling Jihua e il Generale Xu Caihou – sono stati soprannominati “la nuova Banda dei Quattro”. Il riferimento storico in questo caso non è casuale, data la natura rivoluzionaria della fazione guidata dalla moglie di Mao, Jiang Qing, all’epoca della Rivoluzione Culturale.

Secondo Bloomberg, sarebbero emersi nuovi dettagli circa le intenzioni complottiste adottate da Zhou. In qualità di capo della sicurezza interna, Zhou avrebbe fatto uso degli strumenti di controllo per spiare Xi Jinping e altri esponenti vicini a quest’ultimo, per fini esclusivamente personali.

L’estromissione dalla scena politica delle cosiddette “tigri” rappresenterebbe un vantaggio politico, senza precedenti, per la legittimazione istituzionale del Presidente in carica. Le epurazioni mirate rappresenterebbero, dunque, l’obiettivo ultimo della campagna anti-corruzione per favorire una sorta di “darwinismo della specie politica”.

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