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Fabio Fazio nel fine settimana avrà suo ospite papa Francesco. Io non so cosa dirà il papa ma non credo che sarà l’occasione per parlare  di castità prematrimoniale, di liceità dell’uso del preservativo (materia su cui fu criticato Benedetto XVI), di celibato obbligatorio per chi prende i voti ed altre questioni affini. Mi sembra giornalisticamente più importante sentirlo sul mondo in gran subbuglio, anche se gran parte del dibattito ecclesiale è sull’etica sessuale, sebbene al riguardo gli insegnamenti evangelici, per così dire, non abbondino. Sul sito dell’Accademia Alfonsiana (pontificio istituto superiore di teologia morale) trovo queste parole al riguardo di Gesù: “Parlare con una donna, in solitudine, nei pressi di un pozzo, suscita non poca meraviglia nei discepoli (cf.  Gv 4,27). Al tempo di Gesù, infatti, persino parlare in pubblico con la propria moglie era considerato sconveniente, figuriamoci con un’estranea e, per di più, samaritana!”.

L’argomento “etica sessuale” di certo non può essere considerato irrilevante, ma le questioni dei mutamenti climatici, delle catastrofi ambientali, delle migrazioni, di ampie parti di mondo sconvolte dal terrorismo, del numero crescente di conflitti, della possibilità evidente di loro estensioni, forse dovrebbero e potrebbero stare a cuore anche agli ecclesiastici che criticano Francesco. Ripeto, io non so di cosa parlerà Francesco, ma ritengo che non seguirà il trend maggioritario. Il mondo non è una variabile marginale nel discorso ecclesiale.

Mi trovo invece a domandarmi se qualcuno ritenga che la “casa comune” stia bene, che la fine evidente di un ordine mondiale e la profonda crisi di tutto il sistema multilaterale siano dettagli. È strano cogliere intorno a noi i segni di un ritorno del Novecento? Di quei totalitarismi che lo hanno segnato abbiamo forse perso memoria?

Nel prevalente confronto ecclesiale, nelle numerose critiche al papa, tutto questo sembra però pesare poco, conta molto di più l’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede che consente a coppie irregolari o omosessuali che lo richiedano di avere una benedizione pastorale (non liturgica). Per spiegare cosa sia una benedizione pastorale faccio un esempio. Un tempo il parroco passava a benedire le abitazioni del palazzo dove vivevo, con un semplice preavviso affisso sul portone: nessuno chiedeva prima a chi apriva di mostrargli lo stato di famiglia. Si benediceva la casa, sperando di aiutare chi lì viveva. Si trattava e si tratta di un incoraggiamento a cercare Dio nella nostra vita, come possiamo. Anche oggi, con la nuova istruzione, nulla cambia della dottrina: il matrimonio resta indissolubile, tra un uomo e una donna, a fini procreativi. Ma se una donna tradita non ha la pazienza di aspettare (e nella maggior parte dei casi pagare) per ottenere la dichiarazione di nullità del suo matrimonio dalla Sacra Rota e chiede di poter essere aiutata a cercare Dio nella sua nuova condizione, può farlo. Perché non dovrebbe potere? Quella benedizione non la riconosce sposa, non riconosce la sua unione, ma non le sbatte la porta in faccia. Non le dice “tu non esisti per noi”.

In realtà questo la Chiesa non lo diceva neanche prima. Giovanni Paolo II modificò il codice di diritto canonico per riconoscere che i divorziati risposati sono parte della comunione ecclesiale, non “pubblici infami”, come il vecchio codice li definiva. E se due ragazzi omosessuali vogliono chiedere a Dio di aiutarli a cercarlo nella loro vita, la Chiesa oltre a non riconoscere la loro unione, a dirgli che sono in condizione di “disordine”, perché dovrebbe dirgli “per voi Dio non c’è”? Come dovrebbe vivere un omosessuale cattolico? Il catechismo della Chiesa cattolica afferma che “questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”. Certo, li chiama alla castità: ma anche il sesso prematrimoniale non è consentito dal catechismo. Siamo sicuri che tutti i giovani fidanzati che chiedano una benedizione, magari mentre sono in attesa di una casa o di un lavoro, rispettino appieno il dovere della castità prematrimoniale?  Volendo essere troppo meticolosi sono in peccato anche i coniugi che usino il preservativo: pensi che si dovrebbe chiedere alle coppie eterosessuali di assicurare che non lo usino per evitare di benedire chi pecca in assenza di un pentimento.

Andando da Fazio papa Francesco potrebbe però cercare di aprire la Chiesa al mondo e il mondo alla Chiesa, parlando dei problemi che ci assillano, dei guasti che ci assediano materialmente e moralmente, legando mondo e Chiesa in un’amicizia, un dialogo, che accantona il clericalismo. Molti da anni scrivono che parte della Chiesa davanti alla ferita dell’abuso sessuale ha più volte preferito volgere lo sguardo altrove: forse non sarebbe andata così se ci fosse stato meno clericalismo.

Parlare agli italiani, alla nostra società stranita da tante emergenze, da tante angustie, conta per noi come per la Chiesa. Portare tutti nella logica di un cattolicesimo che si interessa del mondo, di tutto il mondo, non dei “suoi” sì, ma  degli “altri” no,  serve a ritrovare una bussola spirituale alla nostre scelte al di là della nostra fede personale ed è una priorità pastorale epocale.

Al pubblico televisivo interessa sentire il papa che ha avuto il coraggio di dire “chi sono io per giudicare”, perché non sentendosi giudicato saprà giudicare meglio se stesso, il modo in cui vive e il mondo in cui vive. Insomma, anche un colloquio non dottorale può aiutarci a capire  la responsabilità, la coerenza, nella fede o nella ricerca in cui ognuno di noi  vive.

Mi permetto di chiedere: si è sicuri che soffermarsi sul tema delle giuste dimensioni del colletto clericale, quello bianco sopra la camicia nera, sarebbe preferibile? Poi, certo, io se fossi Fazio una domanda sull’istruzione sulle benedizioni la farei, forse…

Di cosa (non) parlerà il papa da Fazio. La riflessione di Cristiano

Al pubblico televisivo interessa sentire il papa che ha avuto il coraggio di dire “chi sono io per giudicare”, perché non sentendosi giudicato saprà giudicare meglio se stesso, il modo in cui vive e il mondo in cui vive. Insomma, anche un colloquio non dottorale può aiutarci a capire  la responsabilità, la coerenza, nella fede o nella ricerca in cui ognuno di noi  vive. La riflessione di Riccardo Cristiano

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