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La Bce è chiamata a cercare di contrastare il radicarsi nell’economia delle spinte disinflazionistiche e la caduta delle aspettative che vengono dal petrolio. E lo deve fare supplendo all’esaurimento delle munizioni convenzionali a sua disposizione (la riduzione dei tassi) con lo strumento non convenzionale dell’espansione della liquidità. E’ il quantitative easing (Qe), già perseguito con decisione dalla altre banche centrali e contemplato, infine, anche dalla Bce: acquisti significativi e prolungati nel tempo di titoli pubblici e privati nel mercato secondario. Il Qe dovrebbe conseguire quel che non si può fare più con lo strumento convenzionale: abbassare cioè i tassi di interesse reali, creando inflazione e soprattutto aspettative di inflazione. Riuscirà la Bce in questa impresa? Qui sorge un punto delicato.

Quando la Bce afferma di voler puntare a realizzare l’obiettivo statutario di un’inflazione al 2% per l’eurozona, sta praticamente dicendo di voler perseguire un’inflazione al 3% in Germania. E questo non per un solo anno, ma per tutto il tempo in cui la dinamica dei prezzi dei periferici dovrà rimanere sotto quella tedesca per correggere gli squilibri intra-area (Germania al 3%, periferici all’1% e quindi area euro al 2). Accetta la Germania una simile prospettiva? Il dubbio è che la resistenza tedesca nasconda sotto la nobile preoccupazione che il Qe allenti la pressione a risanare sui periferici, la meno nobile intenzione di bloccare o rendere sostanzialmente inefficace quella che è l’unica politica monetaria idonea per l’area euro, ma che contrasta con gli interessi tedeschi.

Ma quanto dovrebbe essere grande l’intervento a cui la Germania si oppone? Per giungere a una stima approssimativa ci si può chiedere qual è la riduzione del tasso di interesse di policy che sarebbe oggi necessaria per risollevare l’Europa e quanto grande deve, quindi, essere l’aumento della quantità di moneta che equivarrebbe a quella riduzione del tasso nominale di policy.

A questo scopo, nella tabella 1 si riportano il tasso di rifinanziamento vigente della Bce (0,05%) e quello che sarebbe desiderabile sulla base di una policy rule che fa dipendere il tasso di rifinanziamento Bce dal gap dell’inflazione (nell’accezione core e a tassazione costante) rispetto all’obiettivo (2%) e dal gap del tasso di disoccupazione rispetto al Nairu (o disoccupazione strutturale nella stima Oecd). Se l’inflazione è al livello dell’obiettivo e il gap di disoccupazione è nullo, il tasso desiderato della Bce è uguale a quello di equilibrio[2]. Quest’ultimo è cruciale nel determinare l’appropriatezza della politica monetaria e dipende, a sua volta, dal tasso di interesse reale che assicura l’equilibrio di pieno impiego nell’economia (TIRE). Tale tasso non è, però, costante. Esso scende nelle recessioni ed è presumibile che nella lunga crisi dell’economia euro si sia portato stabilmente su un valore negativo: impossibile da raggiungere quando il tasso nominale di policy è al limite zero e le aspettative di inflazione sono in forte deterioramento.

La determinazione della dimensione teoricamente adeguata del Qe non esaurisce, però, il discorso sull’efficacia della politica monetaria. Oltre all’entità contano molto la qualità dell’intervento e le modalità di comunicazione. Per la qualità si può osservare che il Qe non può prescindere dall’acquistare titoli del debito pubblico di tutti i paesi membri dell’unione monetaria. Solo in questo modo si possono, infatti, raggiungere le dimensioni richieste. Sotto questo aspetto qualità è sinonimo di quantità. Inoltre, non sarebbe accettabile la messa in capo alle singole banche centrali nazionali degli acquisti dei titoli di stato dei rispettivi paesi: si tratterebbe della negazione della politica monetaria unica.

Ma la comunicazione svolge forse il ruolo più decisivo. L’obiettivo dell’intervento è quello di modificare le aspettative di inflazione, riportandole dai livelli attuali, ulteriormente depressi dal petrolio, al 2%. A questo fine la Bce deve essere in grado di convincere gli operatori che il Qe durerà per tutto il tempo necessario, ovvero anche quando l’inflazione euro si sarà riportata al 2%, perché non conta la realizzazione del target in un singolo mese o anno, ma il fatto che esso venga incorporato stabilmente nelle aspettative future. E’ la parte più difficile per una banca centrale, ancor più per la Bce alle prese con le resistenze tedesche che minano la credibilità di simili impegni. Per questo il Qe è necessario, ma non è detto che sia sufficiente.

Perché il bazooka di Draghi è necessario ma non risolutivo per l'Europa

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