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Gli smartphone stanno cambiando la biologia delle persone e le dinamiche sociali, l’Intelligenza artificiale rivoluzionerà la società e quasi tutte le professioni. Un cambiamento abissale, dispiegato su scala globale, che darà i suoi frutti in poco, pochissimo tempo. Non ci sono precedenti nella storia della Tecnica.

Nei giorni scorsi, il capo delle Relazioni istituzionali di Google, Diego Ciulli, ha auspicato un approccio costruttivo al tema. “Siamo ancora indietro nel ragionare su come cogliere le opportunità offerte dall’Intelligenza artificiale”, ha detto. Siamo indietro, è vero. Ma l’Italia è insolitamente meno indietro degli altri Paesi europei.

Su spinta del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti, il governo Meloni è stato l’unico esecutivo europeo a varare un disegno di legge in materia. Obiettivo: incentivare l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale nella Pubblica amministrazione e sostenere economicamente le start up del settore.

Con Cassa depositi e prestiti e con l’Agenzia per la Cybesicurezza Nazionale è stato creato un fondo di venture capital che, partendo da 500 milioni, confida in un effetto moltiplicatore. La cifra non è enorme, ma rappresenta pur sempre un inizio.

L’Agid, Agenzia per l’Italia digitale, ha di recente pubblicato un piano triennale sulla digitalizzazione che prevede, al 2026, centinaia di interventi. L’idea è buona, speriamo venga accompagnata da politiche e monitoraggi concreti. Segno dell’importanza che il governo attribuisce al tema, il fatto che Giorgia Meloni abbia voluto metterlo al centro della riunione finale del G7.

Governare la novità rappresentata dall’Intelligenza artificiale e sfruttarne le potenzialità è, dunque, questione prioritaria. A domanda cosa manca, la giurista Giusella Finocchiaro, fresca autrice per il Mulino di “Intelligenza artificiale. Quali regole?”, risponde così: “A livello internazionale, manca un coordinamento globale. A livello nazionale, l’adeguamento delle norme sulla protezione dei dati personali e sull’utilizzo dei dati non personali, che consentano di utilizzare le informazioni in maniera adeguata in settori che vanno dalla ricerca scientifica all’elaborazioni di testi. Manca anche una sistematizzazione delle norme sul diritto d’autore e un adeguamento del modello di responsabilità per i danni cagionati dall’IA. E infine, a livello privatistico, policy, contratti, linee guida per facilitare l’applicazione dell’IA nelle organizzazioni”.

Molto è stato fatto, moltissimo c’è da fare. Nel nostro piccolo, noi della Fondazione Luigi Einaudi abbiamo costituito presso il nostro Comitato scientifico un Dipartimento Digitale di primissimo livello coordinato dal professor Gianluca Sgueo, consulente per il digitale del governo Meloni come lo fu del governo Draghi. Grazie ad un importante progetto triennale del Ministero dell’Universita e della ricerca scientifica, siamo partner del Cnr per approfondire l’impatto del digitale in sei ambiti della nostra vita privata e civile.

A breve pubblicheremo il primo studio: la democrazia e il digitale, è l’ambito di ricerca. In collaborazione con Ifel abbiamo avviato corsi di formazione al digitale rivolti alle alte burocrazie comunali. A coloro, cioè, che grazie ai fondi Pnrr dovranno sviluppare le possibilità che la tecnologia offre nell’erogare servizi sempre più utili ai cittadini.

In questa materia, la collaborazione tra pubblico e privato è essenziale. Di più: è strategica. Noi la nostra parte la facciamo con competenza e passione.

Intelligenza artificiale. Molto è stato fatto, moltissimo c’è da fare. Scrive Cangini

Nei giorni scorsi, il capo delle Relazioni istituzionali di Google, Diego Ciulli, ha auspicato un approccio costruttivo al tema. “Siamo ancora indietro nel ragionare su come cogliere le opportunità offerte dall’Intelligenza artificiale”, ha detto. Siamo indietro, è vero. Ma l’Italia è insolitamente meno indietro degli altri Paesi europei. Il commento di Andrea Cangini

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