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Stretta tra la necessità di un rinnovamento e la mancanza di un leader emergente in grado di tenere testa a Matteo Renzi, la Ditta bersaniana ha riunito ieri i suoi stati generali a Bologna all’assemblea nazionale di Area Riformista. C’è stato spazio per le rivendicazioni e gli strali contro il premier, ma anche per l’emergere di contraddizioni interne sull’atteggiamento da tenere col governo, fino a un po’ di nostalgia (“qui almeno possiamo chiamarci compagni e compagne” si e’ lasciata andare la deputata Micaela Campana). Eppure, nonostante Pierluigi Bersani abbia provato tracciare la rotta, ai suoi sembrava mancare una collocazione definita di questa corrente che rischia di tenere i piedi in due staffe. Per carità, “entrambi i piedi sono ben saldi dentro al Pd”, come ripete il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, ma tra chi invoca un’opposizione più agguerrita a Renzi e chi invece vuole collaborare per portare a casa risultati sulle riforme, si fatica a trovare una sintesi.

SPERANZA STUDIA DA LEADER E STRUTTURA LA CORRENTE

Gli onori di casa li fa il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, punto di riferimento di Area Riformista. “No al partito pigliatutto della nazione”, “la parola scissione non esiste nel nostro vocabolario”, “la soluzione non è una sinistra antagonista che nasce dalle urla televisive di Landini”; il rampante 36enne lucano prova a dare la carica sotto l’occhio attento (e a tratti paterno) di Bersani, quindi lancia tre temi: “attenzione alle fasce più deboli” che prenderà forma in una proposta di legge poi spiegata dalla senatrice Maria Cecilia Guerra sul reddito di cittadinanza, “svolta sui diritti civili” e “una nuova discussione sul sistema delle autonomie”. Sulla legge elettorale il capogruppo tuona: “Sono inaccettabili le blindature sull’Italicum”. Quindi lancia l’evento di sabato 21 marzo a Roma con tutte le minoranze antirenziane del Pd e annuncia che Area Riformista intende strutturarsi nei territori, da qui l’indicazione di tre coordinatori esecutivi nazionali: i deputati Nico Stumpo, già responsabile organizzativo del Pd bersaniano, e Matteo Mauri, milanese tesoriere del Pd alla Camera, quindi il senatore Carlo Pegorer, ex segretario dei Ds in Friuli Venezia-Giulia.

BERSANI VA ALLA RECONQUISTA

Se c’è uno che con Renzi e le sue riforme ha poca voglia di collaborare, questo è proprio Bersani. Paventa “rischi di spaesamento e allontanamento dal partito”, rileva “il dimezzamento degli iscritti e l’astensione in Emilia-Romagna”, boccia “le soluzioni leaderistiche o di organizzazioni liquide” e sentenzia: “Il partito si sta liquefacendo, per questo serve un’area di sinistra larga dove è più facile che emergano i riformismi”. Il suo modello di sviluppo è quello tedesco, per imitarlo basta “capire come tradurre in nuovo lavoro le straordinarie opportunità del momento: l’euro bassissimo, il costo del petrolio crollato e l’enorme liquidità in aumento dalla Bce”. Gli applausi scrosciano, il leader qui è ancora lui anche se tutti sanno che ha già dato e ne servirebbe un altro. Peccato che ancora non ci sia.

I PROTAGONISTI DELLA GIORNATA

Al microfono sfilano in tanti. E spesso con idee differenti. C’è il senatore Federico Fornaro che rivendica l’opposizione sull’Italicum ed è il più duro col premier, la sottosegretaria lettiana Paola De Micheli che invece sottolinea “gli straordinari risultati ottenuti al governo da Area Riformista”, il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti in dissenso sulla manifestazione di Roma e pure sul rischio che “da minoranza temporanea ci trasformiamo in opposizione permanente”, fino all’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani e all’ex ministro Cesare Damiano che agita lo spauracchio: “L’abbandono silenzioso del partito da parte di persone che la pensano come noi viene riempito dall’arrivo di persone che non la pensano come noi”. Tocca invece al deputato Andrea De Maria di Sinistra Dem rimarcare come il suo gruppo con Area Riformista “a Bologna sono uniti”, “la nostra casa è il Pd, ma senza i valori della sinistra finisce anche il Pd”. I toni agguerriti dei cuperliani provocano però fastidio tra i bersaniani, o almeno in una parte di loro.

LA DIASPORA DEGLI EX DS EMILIANO-ROMAGNOLI

Sullo sfondo di questo raduno c’è la diaspora degli ex Ds lungo la via Emilia. Il 19 aprile si terrà il congresso per eleggere il nuovo segretario regionale. I candidati sono cinque: Area Riformista schiera il consigliere regionale Stefano Caliandro, il più duro a intervenire in assemblea, i renziani-bonacciniani stanno col capogruppo in Regione Paolo Calvano che si fa vedere tra il pubblico. Poi ci sono i Giovani turchi con la deputata modenese Giuditta Pini, fino al civatiano Antonio Mumolo e all’ex sindaco di Carpi Enrico Campedelli. Tutti ex Ds coinvolti in una guerra in famiglia che rischia di lacerare la nomenklatura locale, motivo per cui le diplomazie sono al lavoro per trovare convergenza su Calvano. Chi però ancora riesce a scaldare i cuori di questo popolo è il rimpianto tortello magico emiliano: quando infatti il segretario provinciale del Pd, il cuperliano Francesco Critelli, saluta dal microfono Vasco Errani seduto in prima fila, ecco che scatta l’ovazione. L’ex governatore non poteva mancare all’evento del compagno Bersani, è arrivato scortato dal fedelissimo ex consigliere regionale Miro Fiammenghi, tuttavia non prende la parola e sta defilato. È un leader ora ai margini; il suo successore, il governatore Stefano Bonaccini, ha abbandonato questa corrente, ora sta con Renzi e non si fa vedere nemmeno per un saluto. Il presidente di Regione Emilia-Romagna che diserta la convention dei bersaniani-erraniani sotto le Due Torri, una cosa impensabile fino a qualche mese fa.

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