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Di fronte ai ricorrenti propositi di “ricostruire” il centrodestra per non lasciare il Pd di Matteo Renzi senza alternative realistiche, sarebbe forse il caso di chiedersi se c’è stato davvero un centrodestra negli ultimi vent’anni. O se fu giusto chiamare così, come abbiamo fatto tutti, lo schieramento realizzato a cavallo fra il 1993 e il 1994, fra i marosi di Tangentopoli, da Silvio Berlusconi con indubbia fantasia e altrettanto indubbio coraggio.

Di destra, nella coalizione berlusconiana qualcosa c’era di sicuro: il Movimento Sociale guidato da Gianfranco Fini. Di centro, c’era qualcosa anche di più consistente della destra: il nuovo movimento creato dello stesso Berlusconi, Forza Italia, e quella parte uscita dalla Dc con il nome di Centro Cristiano Democratico per iniziativa di Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. I quali furono ospitati nelle liste del partito berlusconiano ma imprudentemente autorizzati dopo le elezioni a mettersi in proprio, con tanto di gruppi parlamentari distinti. Imprudentemente perché prima Mastella e poi Casini se ne sarebbero andati per conto loro negli interstizi di quello che tutti salutammo come bipolarismo.

Poi c’era, sempre nella coalizione improvvisata da Berlusconi, la componente della Lega, cresciuta al Nord come un fungo sulle ceneri di un elettorato prevalentemente democristiano e guidata in canottiera da Umberto Bossi. Che era tanto poco di destra, o di centro, da esortare a buttare “nel cesso” il tricolore sventolato da una signora veneziana affacciatasi alla finestra per contestargli patriotticamente la proclamazione addirittura di una Repubblica indipendente della Padania. Tanto poco di destra o di centro, aggiungo, che Bossi trattava Fini come un topo di fogna, pur essendo destinati entrambi dalla convenienza a far parte poi degli stessi governi. Il primo dei quali tuttavia fu liquidato in pochi mesi proprio da Bossi, stimolato alla rottura dall’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro e ringraziato da Massimo D’Alema con la qualifica di “costola della sinistra”.

Già questo poteva bastare ed avanzare per dubitare dell’autenticità del centrodestra proclamato e vantato da Berlusconi. Ma a rendere ancora meno autentico quello schieramento c’era la forte presenza in Forza Italia, ma un po’ anche nel Movimento Sociale e poi Alleanza Nazionale, di una componente dichiaratamente e geneticamente di sinistra come quella del riformismo socialista. Che si accasò da Berlusconi, e un po’ – ripeto – persino da Fini, per reazione a una sinistra riformista solo a parole, scampata al crollo del comunismo cambiando nome e simbolo, e lucidando cinicamente la ghigliottina giudiziaria in azione selettiva contro concorrenti ed avversari di quello che era stato il Pci.

L’innesto di tanti elettori socialisti, e di una parte anche della dirigenza di un ormai defunto Psi, contribuì non meno della destra e della Lega al successo della coalizione guidata da Berlusconi. E poi anche alla sua sopravvivenza, quando se ne staccarono Mastella, Casini e infine Fini.

Già traballante o lesionata di suo, la fisionomia politica del centrodestra uscito dalle urne del 1994 è stata ultimamente terremotata dai cambiamenti intervenuti nella sinistra con l’arrivo di Matteo Renzi alla guida del Pd e del governo. Un Renzi che ha “rottamato” uomini e posizioni del cosiddetto post-comunismo, incapace di rompere davvero con il massimalismo e di liberarsi di una sudditanza opportunistica al potere giudiziario.

Diciamo la verità: Renzi ha in qualche modo vendicato la parte socialista della sinistra costretta una ventina d’anni fa a rifugiarsi da Berlusconi, mentre Bettino Craxi si ritirava in Tunisia per morirvi. L’ha vendicata, anche se ha paura di vantarsene e si espone perciò alla diffidenza di Bobo Craxi e Gianni De Michelis, che curiosamente hanno appena solidarizzato con lo sciopero generale del 12 dicembre indetto contro di lui, complice la Uil, da quella stessa Cgil che nel 1984 eseguì l’ordine del Pci di Enrico Berlinguer di promuovere contro Bettino Craxi un referendum per i modesti ma salutari tagli apportati alla scala mobile in funzione antinflattiva.

A questo punto – peraltro in un contesto politico sconvolto anche da una svolta quasi nazionalistica della Lega ormai post-bossiana a torso nudo, e da una scissione consumatasi e forse non ancora completata nello stesso partito berlusconiano – se mai l’ormai ex Cavaliere o altri per, o con, o persino contro di lui, ancora sotto scacco giudiziario, riusciranno a “ricostruire” il centrodestra da più parti reclamato, non si tratterà certamente di qualcosa paragonabile a quello che ci siamo abituati a vedere o chiamare così per tanti anni. Sarà tutt’altra cosa, e tutt’altra storia.

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