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La torsione verso destra è evidente. In Europa le recenti affermazioni alle urne delle formazioni sovraniste – il caso di Wilders in Olanda è emblematico – segnano lo spirito dei tempi che viviamo. Ma, per dirla con le parole del politologo della Luiss, Giovanni Orsina (intervistato oggi dal Quotidiano Nazionale) “l’Europa va a destra, sarà una svolta non una rivoluzione”. Già perché, sondaggi alla mano, la maggioranza europea che uscirà dalle urne in primavera, rispecchierà il modello consolidato fino a ora: la maggioranza Ursula.

È l’ultimo sondaggio Europe Elects (datato 30 dicembre) sulle elezioni di giugno a consegnarci questo scenario. Ma andiamo con ordine, partendo da un presupposto ben tratteggiato anche da Adalberto Signore sul Giornale. “In Europa – scrive – un’intesa di centrodestra italian style è pressoché impossibile”. Per una serie di ragioni. Prima di tutto per via del sistema elettorale. Trattandosi di un voto proporzionale, vigerà la regola del tutti contro tutti con buona pace dei fan dei governi di coalizione. In secondo luogo, i tre partiti principali che sostegno l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, a Bruxelles appartengono a tre famiglie politiche distinte e – per certi versi – distanti.

Forza Italia è saldamente nella famiglia del Partito Popolare Europeo che, con ogni probabilità, otterrà il più alto numero di seggi: 179. Nel solco, peraltro, di una tradizione consolidata. La Lega di Matteo Salvini fa parte della famiglia politica di Identità e Democrazia. Ecco, su quest’ultimo gruppo vale la pena spendere due parole.

È evidente che il leader del Carroccio mal sopporta la sua posizione da gregario all’interno dell’esecutivo e rivaleggia con Meloni cercando di conquistare consensi. Per lo più orientandosi verso destra. Tant’è che, anche nella sua ultima intervista a Formiche.net, l’ex premier Lamberto Dini l’ha definito “una spina nel fianco per il governo”. Ebbene, questo come si riverbera a Bruxelles? Ancora una volta, dipenderà dai numeri. Ma è certo che l’appuntamento elettorale di primavera sarà un test importante per la tenuta del governo a livello nazionale.

Al momento, Id potrebbe essere il terzo gruppo europeo più votato: portando a casa – sempre stando ai sondaggi – 93 seggi, gli euroscettici supererebbero anche i liberali di Renew. Salvini ha più volte spiegato di non essere disposto ad alcun accordo con i socialisti di S&D, che resterebbero comunque la seconda famiglia europea con più eletti: 142 eurodeputati. A questo punto si aprirebbe un bivio notevole per Giorgia Meloni.

Se è vero che Renew, S&D e Ppe potrebbero avere una robusta maggioranza dopo il voto di giugno – si stima che possano arrivare a oltre quattrocento seggi su 705 – Meloni dovrà scegliere, portando la sua dote di oltre ottanta eurodeputati dell’Ecr, da che parte stare. È chiaro che, se si dovesse riproporre un modello “Ursula” – cosa assai probabile – per Meloni sarebbe ben poco conveniente chiamarsi fuori dai meccanismi decisionali europei. A partire dalla designazione della presidenza della Commissione.

Nel frattempo Ecr ha stretto l’accordo con l’Aur di Simion – come riporta il Giornale – e, nel breve termine, dovrebbe chiuderne un altro con il presidente ungherese Viktor Orban. A questo punto, Ecr risalirebbe la “classifica” in termini di peso elettorale e potrebbe davvero fare la differenza.

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I numeri degli ultimi sondaggi sanciscono un risultato più o meno ineludibile: dopo il voto di primavera a Bruxelles si riproporrà il modello di maggioranza Ursula. Per il governo sarà una prova di tenuta, anche perché con ogni probabilità a restare fuori dagli equilibri decisionali sarà Id, di cui fa parte la Lega di Salvini

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