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E’ di qualche giorno fa la lettera con la quale la Commissione Europea ha richiesto formalmente al Governo italiano chiarimenti circa la nota di aggiornamento al DEF. Il Presidente del Consiglio ha deciso di divulgarla (pubblicandola sul sito del ministero dell’Economia), nonostante la stessa fosse con evidenza classificata come Strictly confidential, motivando la decisione assunta con un’esigenza di trasparenza (specificamente, ha usato l’espressione open data, intendendo forse riferirsi alla disclosure più propriamente detta) e aggiungendo via Twitter che avrebbe provveduto a pubblicare anche “i dati economici dei palazzi di Bruxelles”. La Commissione UE (Barroso) ha manifestato la propria contrarietà a tale pubblicazione, considerata la “fase di negoziati e consultazioni tecniche con diversi governi, che è meglio avere in un ambiente confidenziale”.

I COMMENTI

In Italia, i commenti al riguardo sono stati molto vari: se, da un lato, vi è un’istanza di sempre maggiore trasparenza in ogni ambito in cui il potere venga esercitato, dall’altro, nel caso di specie essa è stata realizzata nonostante il chiaro carattere di riservatezza della missiva in discorso, peraltro, da parte di chi invece adotta uno stile opaco in relazione ad altri atti (basti pensare, ad esempio, alla mancata diffusione dei documenti di lavoro della commissione incaricata dal governo precedente dei tagli alla spesa pubblica; al numero di giorni intercorrenti tra l’approvazione di atti normativi e la pubblicazione degli stessi nella Gazzetta Ufficiale ovvero la divulgazione del relativo testo; all’assenza di pubblicazione dei contributi pervenuti nei procedimenti di consultazione, nonché delle modalità in cui se ne tiene conto).

Ciò premesso, stante la delicatezza dell’argomento, sembra necessario non limitarsi a rilevare reazioni di tipo emozionale o a formulare valutazioni di opportunità a fronte di scelte politiche ben precise, ma verificare se queste ultime abbiano fondamento in punto di diritto, vale a dire se siano giuridicamente consentite, sì da legittimare l’operato di chi le ha compiute e rafforzarne la credibilità istituzionale: accountability è anche questo.

IL PRINCIPIO DI TRASPARENZA

Il principio di trasparenza – che, come accennato, pare aver orientato nel caso in questione l’agire del capo del Governo italiano, è progressivamente invalso nell’ordinamento comunitario e lo connota in maniera profonda e sostanziale, anche in quanto “costituzionalizzato”. Esso è contenuto nelle disposizioni di cui all’art. 1 TUE e art. 15, c. 1, TFUE, dove si prevede rispettivamente che a tale criterio siano improntate le decisioni adottate dall’Unione, nonché le azioni di istituzioni, organi e organismi a essa appartenenti. Oltre a rappresentare un principio generale del diritto comunitario, la trasparenza viene concretizzata in un complesso di istituti giuridici, tra i quali un’importanza rilevante riveste il diritto riconosciuto ai soggetti interessati di accedere ai documenti delle autorità europee (art. 15, c. 3, TFUE). Tale diritto trova giustificazione nella circostanza che la conoscenza delle informazioni in possesso degli enti citati, da un lato, può favorire consapevoli scelte di investimento e, quindi, il corretto funzionamento del mercato e lo sviluppo della concorrenza; dall’altro, contribuisce a rendere più partecipata la gestione comunitaria, consentendo ai cittadini il controllo democratico sull’operato delle relative istituzioni.

L’ACCESSO AI DOCUMENTI

Il diritto di accesso ai documenti in sede UE è disciplinato specificamente dal regolamento n. 1049/01 del Parlamento europeo e del Consiglio, adottato in attuazione del paragrafo 2 dell’art. 255 TCE (ora art. 15 TFUE). Esso ha una portata molto estesa, così come la disclosure che è preposto a realizzare, a dimostrazione dell’assunto che la trasparenza è la regola nelle istituzioni comunitarie, rappresentando al contempo obiettivo e parametro di giudizio del loro operato. Tra i profili che ne evidenziano l’ampiezza, si rileva che l’accesso non è limitato – a differenza di quanto accade in ambito nazionale – ai casi di tutela di una posizione giuridica soggettiva, ma può essere attivato per qualsiasi fine; è consentito ai cittadini dell’Unione, ma anche alle persone fisiche o giuridiche che risiedano o abbiano la sede sociale in uno Stato membro; concerne gli atti di Parlamento, Consiglio e Commissione, nonché quelli di ogni istituzione, organo e organismo comunitario; possono esserne oggetto non solo i “documenti amministrativi” propriamente detti, ma altresì le informazioni contenute in qualunque supporto (testo su supporto cartaceo o elettronico, registrazione sonora, visiva o audiovisiva), che verta su aspetti relativi alle politiche, iniziative e decisioni di competenza dell’istituzione; può riguardare non esclusivamente gli atti da quest’ultima prodotti, ma anche quelli che essa “detiene” e di cui altri sia autore, ciò al fine di conferire certezza al principio generale della trasparenza. Le eccezioni a quest’ultima sono puntualmente previste dall’art. 4 del regolamento menzionato: l’accesso agli atti deve essere negato quando essi contengano informazioni la cui divulgazione potrebbe arrecare pregiudizio alla tutela di interessi privati quali l’integrità dell’individuo e la riservatezza dei dati personali e di interessi pubblici quali la sicurezza pubblica, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro.

Qualora invece l’accesso possa ledere interessi commerciali delle persone fisiche o giuridiche (ivi compresa la proprietà intellettuale), nonché altri specificamente elencati, dovrà valutarsi la prevalenza dell’interesse pubblico alla divulgazione; inoltre, qualora esso abbia ad oggetto documenti elaborati nel corso di un procedimento volto a pervenire a una decisione finale, deve essere negato “nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione”.

LE ECCEZIONI

Alle precise eccezioni al principio di trasparenza enumerate dal regolamento, si aggiunge un’ipotesi particolare, prevista all’art. 9, che detta un regime specifico per i cosiddetti “documenti sensibili”, vale a dire quelli “…provenienti dalle istituzioni o dalle agenzie da loro istituite, da Stati membri, paesi terzi o organismi internazionali, classificati come “CONFIDENTIAL”, “SECRET” e” TOP SECRET” in virtù delle disposizioni dell’istituzione interessata che proteggono interessi essenziali dell’Unione europea o di uno o più Stati membri nei settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), in particolare, negli ambiti della sicurezza pubblica, della difesa e delle questioni militari” (la versione italiana del regolamento si limita a citare solo quelli “confidenziali”). L’accesso a questi documenti è sottoposto a regole particolari rispetto a quelle previste per atti non marcati nel modo indicato, volte a garantirne la sicurezza, e il trattamento degli stessi è consentito solo a persone che abbiano il diritto di venirne a conoscenza. La conoscenza, se permessa, può avvenire solo previo il consenso dell’ente di provenienza e previa verifica che non ricorrano le precise eccezioni, sopra citate, per non accordarla.

LA VALUTAZIONE

Poste così le premesse, in punto di diritto, necessarie al fine di una valutazione più fondata, può essere giudicata con maggiore cognizione di causa la decisione assunta dal Presidente del Consiglio italiano di divulgare la lettera trasmessa da parte della Commissione UE in forma strettamente riservata. Considerata la rilevanza che nell’ordinamento comunitario riveste il menzionato principio di trasparenza e l’ampia attuazione che ne viene data, tra l’altro, mediante la garanzia dell’accesso agli atti comunitari, la motivazione per cui il capo del Governo ha autonomamente deciso la diffusione della nota in discorso – vale a dire quella di fare dei “palazzi di Bruxelles” una “casa di cristallo”, secondo l’espressione coniata da Turati – non pare di certo originata dalla comprovata esigenza di ovviare a un’opacità ostinata.

La disclosure istituzionale è la norma in ambito europeo, come dimostrato, e pertanto non sembra necessitare di interventi volti ad ampliarne forzatamente la portata. La conoscibilità dei documenti, infatti, salvo le eccezioni specificate, viene consentita nel rispetto delle regole procedurali stabilite al riguardo, più rigorose quando un atto sia chiaramente classificato come “confidenziale”. La lettera in discorso, recando la stampigliatura indicata, rendeva indubitabile la volontà dell’istituzione comunitaria di ricomprenderla fra i documenti “sensibili” di cui al citato art. 9, la cui conoscenza da parte di soggetti terzi può essere eventualmente consentita esclusivamente nel rispetto di vincoli procedimentali particolari. Il Premier italiano, non assolvendo agli adempimenti previsti al riguardo e, quindi, diffondendo un testo che poteva eventualmente divenire di pubblico dominio solo in conformità a prescrizioni precise, non ha consentito la valutazione comparativa di cui al regolamento n. 1049/01, volta a verificare la prevalenza dell’interesse alla conoscenza dell’atto rispetto alle esigenze di riservatezza chiaramente marcate dall’istituzione redigente.

La nota UE in argomento rappresenta, peraltro, un atto interlocutorio, ossia intervenuto prima di una decisione ufficiale della Commissione, e in quanto tale rientra nella categoria indicata dall’art. 4, c. 3 del regolamento citato: pertanto, anche qualora la stampigliatura “strictly confidential” non vi fosse stata, doveva essere comunque effettuato un balancing test tra la tutela dell’indipendenza della decisione finale e la presenza di un interesse pubblico di ordine superiore alla divulgazione, a seguito di una richiesta in tal senso formulata. Nel caso di specie, invece, qualunque prescrizione è stata disattesa, mancando una precisa istanza all’autore della missiva, l’osservanza delle regole procedurali conseguenti, il vaglio comparativo dell’istituzione preposta. Il Presidente del Consiglio ha evidentemente considerato le norme europee suddette non così rilevanti da dover essere ottemperate.

UNA VIOLAZIONE

Sulla base di quanto sopra esposto, appare evidente come la pubblicazione della lettera citata non può costituire esclusivamente oggetto di un giudizio di opportunità politica, né mera testimonianza di una concezione particolare del principio della trasparenza, che induce il Capo del Governo ad applicarlo alla bisogna e a eluderlo, invece, quando non convenga. L’esigenza di disclosure, anche qualora sussistente, non legittima la violazione di disposizioni che sanciscono i criteri cui attenersi al fine di realizzarla.

Il concetto di trasparenza non è vago né ha contenuti indefiniti, sì da poter essere sostanziato soggettivamente, ma va riferito agli istituti giuridici cogenti che l’ordinamento, anche quello comunitario, ha preposto a concretizzarlo. Il “metodo” della trasparenza, a propria volta, richiede il rispetto procedurale e sostanziale di regole precise, che nel caso di specie sono state palesemente trasgredite. Infine, chi esprime opinioni sull’argomento non può esimersi, data la confusione imperante, di fare costante riferimento alle norme che ne costituiscono il fondamento e che rappresentano la bussola necessaria a orientare qualunque giudizio: un principio così importante qual è quello della trasparenza non può essere svilito da una politica poco rispettosa e da una pubblica opinione non sufficientemente informata.

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza (Consob).

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