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Matteo Renzi è uno spericolato navigatore politico, alquanto cinico e spregiudicato che, fingendo una diversità pratica rispetto al vecchio armamentario ideologico-realista della sinistra postcomunista, presume di rappresentare l’avventurosità e apre fronti in molte direzioni. Queste le principali: la conduzione affaristica della politica europea; l’inesistenza di rigore scientifico e storico nelle relazioni internazionali; il rifiuto della maggioranza degli italiani a considerare l’euro come una moneta intoccabile e non salvifica; la nomenclatura (maggioritaria) della sinistra che si continua a ritenere dominante della produzione editoriale prevalente (si veda la mostra sul libro politico organizzata a Montecitorio) e protervamente antiberlusconiana; la riduzione della politica d’ogni formazione a fabbriche di avanguardisti autoreferenziali e prive d’una qualsiasi cultura di riferimento ideale e storico; lo spaventoso jato fra ceto politico ed un elettorato sempre più sconnesso dalla comunicazione mediatica. Urtandosi contro tutti tali fronti, Renzi presume di potere cambiare verso all’intero esistente universo politico, in Italia e in Europa, in virtù di un giovanilismo che, di per sé, secondo lui, costituisce il fruttuoso seme del futuro.

Nella storia d’Italia l’avanguardismo si è di solito trasformato in avventurismo distruttore (e non creatore) di democrazia. Un tempo l’avventurismo politico ebbe alle spalle anche un movimento culturale futurista. Con intellettuali di livello, la cui fama tuttora perdura malgrado gli sconvolgimenti generali figli di due conflitti mondiali da noi degenerati in guerre civili mai concluse. Oggi non ci sono però i Marinetti, i Papini, i Soffici, i Palazzeschi, i Govoni, i Folgore. Non c’è un intellettuale capace di dare vita ad una rivista come Lacerba o a dare consequenzialità ad un pensiero libertario. Esiste, invece, una anarchia culturale generalizzata, che promette una evoluzione politica sbrigativa, espressa e condensata in una comunicazione sintetica fondata sull’apparenza, sul facilonismo e su twitter. La stessa celebrazione a Firenze dell’anniversario della Leopolda è un’autocelebrazione dell’iniziativa di occupare e riservarsi uno spazio politico esclusivista, accogliendo affluenze provenienti da insoddisfatti d’ogni genere (sinistra, centro, destra), incoerenti ma non disposti a riconoscere d’essere espressioni reali di una società e di uno Stato sconquassati e non più sopportabili.

È talmente convinto, Renzi, di rimediare allo sconquasso, italiano ma anche europeo, che si fa lui stesso comunicatore principe di verbosità che quotidianamente suscitano speranze, raccolgono delusioni e controbattono quasi avessero alle spalle una massa enorme di consensi duraturi e non ridimensionabili. In più Renzi s’avvale di un piccolo esercito di sostenitori che s’atteggiano a generali, sognano di spartirsi a breve le stesse massime cariche dello Stato (magari ricorrendo a jolly di sesso femminile provenienti da un modesto funzionariato rosso), sono al più dei sottotenentini molto lontani dal potere aspirare ad essere nominati capitani e, tuttavia, si sentono unti dal Signore e destinati a reggere le sorti dei parlamenti e delle nazioni, da ora all’eternità. Anche se Renzi fa l’umile dicendo di accontentarsi di due soli mandati: sino al 2023.

Opportunamente c’è qualcuno, fra i più smaliziati osservatori, tipo Claudio Cerasa, che pone in evidenza come, in Europa, Renzi cerchi di trasformare “la guerra degli zero virgola in uno scontro di civiltà”. Peraltro si tratta della medesima tecnica che Renzi adotta in Italia: dove mantiene in vita partitini ministerialisti che, in guerra permanente coi partitoni dai quali si sono scissi o distaccati per meschine convenienze e ingenerosità totale verso i loro creatori e protettori, per il troppo volere rischiano di calare ad insignificanti quasi zero virgola alle prossime regionali. Ma Renzi crede anche di essere furbo, oltre che intelligente calcolatore delle debolezze altrui: attacca volutamente la gestione Barroso di un’Europa mercantile; presume di potere acquisire la leadership della socialdemocrazia europea, ma rincula subendo ciò che da lui si pretendeva ed egli aveva soltanto qualche giorno prima fieramente respinto (il famoso surplus di deficit a non oltre lo 0,3 per il 2015); ma si ritrova alleato a Bruxelles non coi tradizionalisti socialdemocratici del Nordeuropa, bensì con il conservatore britannico Cameron, a sua volta seriamente minacciato in patria dall’euroscetticismo di Farage.

Così in Italia, convinto di andare ancora oltre la soglia del 41 per cento miracolosamente raggiunto nel voto europeo, Renzi si mette a cinguettare con Grillo (come faceva, rendendosi persino ridicolo, Bersani), venendo subito bloccato nel suo eccesso di arditezza da Berlusconi: il quale, prospettando una larga intesa sui nomi degli ancora eligendi in Consulta e nel Csm, propone tre donne, non scegliendole per l’avvenenza, bensì per la loro alta qualificazione professionale.

La Leopolda riconvocata a Firenze in contrapposizione alla adunata nazionale a Roma di una Cgil che preannuncia, alla Renzi, fracassoni scioperi politici, infine, mette a nudo la debolezza del renzismo in parlamento e nel Paese. Si può (o no) scommettere su un ultimo avviso prima di una scissione seria a sinistra, da molti pronosticata per certa. Ma Renzi non può giochicchiare sapendo che, tanto a Palazzo Madama che a Montecitorio, se vuole far passare una qualsiasi riformetta, deve inevitabilmente ricorrere a voti di fiducia a gogò. Sicché il conclamato progetto di una rottamazione radicale e generale su troppi fronti può, nella sostanza, rimanere al palo di partenza. Che poi nella destra vi siano degli imitatori della Leopolda ma invidiosi del renzismo, è questione che sfugge ad ogni logica e prospettiva realistica e sa di demenziale.

Tutte le debolezze di Renzi formato Leopolda

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