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Alexei Navalny muore a 47 anni quando manca meno di un mese a quelle che il Cremlino chiama elezioni, ma che in realtà saranno soltanto l’ennesima messa in scena di un governo totalmente privo di democratica investitura ma non per questo fragile: nessuno si illuda.

Questo è il punto centrale della vicenda umana del più coraggioso oppositore di Vladimir Putin, che oggi perde la vita facendo l’unica fine possibile per chi si oppone alla piramide brutale del potere in Russia, condizione che accomuna con impressionanti similitudini le più oscure pagine della stagione degli Zar agli anni del feroce impero comunista per giungere sino a noi nella versione nazionalista contemporanea: nulla è cambiato in un vertice totalmente refrattario ad accettare qualsivoglia forma di dissenso e pronto ad usare l’omicidio di Stato come strumento per regolare i conti con l’avversario.

Parliamoci chiaro, noi occidentali con la nostra mania di cercare il pelo nell’uovo. Sapere come è morto Navalny non ha alcun senso, quindi lasciamo da parte questo ridicolo dibattito. Lui era da settimane rinchiuso nella colonia penale IK 3, a 2.000 chilometri da Mosca, in compagnia dei peggiori delinquenti di criminalità organizzata della nazione, lui che in Europa non avrebbe nemmeno visto iniziare un processo a suo carico.

Navalny era già politicamente morto, ma è evidente che questo non basta più al Cremlino. In fondo lo abbiamo già visto con Prigozhin: i giochi di potere in Russia non si svolgono sull’asse vincitore/sconfitto, ma su quello vivo/morto. Quindi la morte di Navalny, quali che siano le motivazioni medico-scientifiche, è funzionale al messaggio di fondo: non si fanno prigionieri. E tanto basta per render ogni elemento ulteriore del tutto accessorio.

A noi resta da decidere cosa fare per il futuro. La Russia è un Paese di enorme importanza nel mondo contemporaneo, basta guardare la cartina geografica per capirlo. Dobbiamo chiudere ogni rapporto? No, ma dobbiamo sapere cosa c’è dall’altra parte del tavolo senza infingimenti. E dobbiamo soprattutto rendere sempre più forti l’Unione Europea e la Nato, mai come oggi strumenti essenziali per esistere nella competizione tra grandi potenze.

Abbiamo davanti tempi nei quali l’uso della forza tornerà di moda (di fatto è già così). Chi non lo capisce è perduto e farà la fine di Alexei Navalny, la cui memoria andrà qui nella libera Europa custodita, perché a casa sua ben pochi lo faranno. E comunque nessuno in pubblico.

La morte "elettorale" di Navalny. Il commento di Arditti

La Russia è un Paese di enorme importanza nel mondo contemporaneo, basta guardare la cartina geografica per capirlo. Dobbiamo chiudere ogni rapporto? No, ma dobbiamo sapere cosa c’è dall’altra parte del tavolo senza infingimenti. E dobbiamo soprattutto rendere sempre più forti l’Unione europea e la Nato. Il commento di Roberto Arditti

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