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Dietro la cacciata di Luca Cordero di Montezemolo a settembre c’era una strategia precisa. Architettata fin da principio dal deus ex machina della galassia Fca: Sergio Marchionne. Aveva detto che “nessuno è indispensabile” pur non scaricando Montezemolo. E Montezemolo era passato per quello che si scagliava contro lo scorporo del Cavallino da Fca, in vista della quotazione a New York.

TRAME DI POTERE
Le cose potrebbero essere più complesse in realtà. E la verità sarebbe venuta a galla in questi giorni, sulla base degli ultimi eventi. Lo spiega Repubblica in un articolo di Paolo Griseri: “Montezemolo non sarebbe stato contrario allo scorporo ma al fatto che la nuova società venisse quotata a New York, come Fca, con tutti gli obblighi di trasparenza che impone la Borsa americana e che potrebbero andare stretti a una società di Formula1”. E ci sarebbe dell’altro: segnatamente le mire egemoniche e accentratrici di Marchionne. Che, con lo scorporo del Cavallino, diventa “il trait d’union tra le tre società nate dalla vecchia Fiat: Fca, di cui è amministratore delegato, Cnhi, di cui è presidente, e Ferrari”, che sarà usata come leva per estrarre valore da impiegare nel rilancio di Fca.

FERRARI RESTA ITALIANA?
Lo aveva detto e lo ha confermato Marchionne: Ferrari resterà italiana. Ed Exor, dopo lo scorporo, la cessione del 10% e la distribuzione del resto dell’azionariato (80%) in proporzione agli azionisti, terrà in mano il 24% delle nuove azioni Ferrari. Che, insieme al 10% di Piero Ferrari, costituiranno una roccaforte inespugnabile. D’altronde, “il valore complessivo di Ferrari potrebbe aggirarsi intorno ai 10 miliardi. Il valore di tutta Fca, in base alla quotazione di ieri, è di poco superiore agli 11 miliardi… Si capisce perché gli Agnelli vogliano tenersela ben stretta”, scrive ancora Repubblica.

…MA SI APRE AL MONDO
Dunque, se l’azionista di maggioranza resta sostanzialmente invariata e italiana e anche la produzione, concentrata a Maranello, non si può dire che nel futuro le cose non cambieranno. Ha scritto Ugo Bertone: “Il baricentro finanziario, per Ferrari come per Fca, è Wall Street. Difficile che ci sia spazio per Piazza Affari, altrimenti non si spiegherebbe il perché nel comunicato aziendale si faccia riferimento ad “una Borsa europea” e non al mercato azionario italiano. Il 10 per cento offerto al mercato, del resto, finirà negli Usa o nei grandi fondi istituzionali o sovrani, difficile che le banche o le istituzioni di casa nostra impieghino le loro risorse in questa operazione”.

MOSSA VINCENTE
E se qualcuno nello Stivale storce il naso per la perdita probabile di un’altra icona di italianità, gli analisti internazionali stappano lo champagne. Ferrari è la carta vincente di Fca. O, per dirla con Milano Finanza “lo “stallone italiano”, intitolano oggi gli analisti di Barclays, “il bazooka”, dicono a Kepler Cheuvreux, “jackpot” per Banca Imi. Tutti convinti che lo spin off della Ferrari genererà sicuramente una “storia emozionante”, come sottolineano gli esperti di Exane Bnp Paribas”.
Quanto vale Ferrari? “Credit Suisse si ferma a 5,2 miliardi di euro e rimarca che è già una valutrazione “generosa”. Societé Générale non va oltre 4 miliardi di euro (6 volte l’ebitda 2015, livello già al di sopra delle 4 volte di Porsche) ma riconosce che questo valore potrebbe costituire il livello minimo. “Probabilmente Fca vorrà spuntare un valore più vicino a 9-10 miliardi di euro”.

QUANTO VALE FERRARI

Invece Equita ha una valutazione più alta: oltre 6 miliardi di euro (ev/ebitda 2015 di 9 volte, ev/ebit di 15 e prezzo/utile di 24 volte). Addirittura Barclays, utilizzando i multipli del lusso per i prodotti non auto (210% ev/vendite e 17 volte l’ev/ebit) e i multipli delle auto di lusso (115% e 9 rispettivamente), giunge a un valore di 6,7 miliardi di euro (enterprise value) per la Ferrari”.
Non i 10 miliardi della valutazione implicita che ne ha fatto Marchionne, ma in ogni caso una bella cifra.

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