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La capacità dell’Ucraina di continuare a resistere all’aggressione di Mosca dipende principalmente da due fattori: la resilienza della sua popolazione, politici e militari di continuare a combattere e la continuazione del sostegno economico e militare dell’Occidente.

È improbabile che il Cremlino accetti un compromesso accettabile per Kyiv. Anche se la sopravvivenza della Russia non è in gioco, lo è però quella politica di Vladimir Putin, il che è la stessa cosa poiché egli non è disponibile a vederla erosa. Inoltre, non esiste in Russia un’istituzione, come era il Politburo nella crisi dei missili di Cuba, in grado di sostituire il presidente dell’Urss o come allora avvenne per Nikita Krusciov.

La volontà Ucraina sembra ancora salda, malgrado le difficoltà politiche e militari di Volodymyr Zelensky, dipendenti dalla carenza di effettivi e dalla resistenza di ridurre l’età della coscrizione da 25 a 18 anni. Le nuove reclute registrano non solo minori livelli addestrativi, ma minore volontà di battersi. Si sta diffondendo l’idea che l’obiettivo di riconquistare l’intero territorio, incluso quello perduto nel 2014, sia irrealistico e comporti un aumento delle perdite militari.

In caso di una presidenza Harris, le cose non dovrebbero mutare grandemente per Kyiv. Continuerà la politica seguita da Biden. Essa non porterà ad alcuna pace accettabile a Kyiv e a Mosca. Infatti, la strategia finora adottata è basata su un presupposto inesistente: ipotizza la possibilità di vittoria di uno dei contendenti e di sconfitta per l’altro. È impossibile che Putin accetti un compromesso gradito da Kyiv anche in caso di rottura del fronte a sud-est (perdita limitata alla Crimea e al Donbas). Sarebbe una sconfitta non tanto per la Russia, quanto per il suo potere.

Anche per Zelensky nessun compromesso sarebbe accettabile se esso non preveda la “garanzia di sicurezza della Nato”, vista da Mosca come il “fumo negli occhi”. I suoi appelli alla “vittoria” consistente nel recupero di tutti i territori – anche di quelli perduti nel 2014 – sono sempre meno credibili e comportano un aumento insostenibile delle perdite militari, come avvenuto nella fallita controffensiva del 2023. Si incomincia sommessamente a parlare di un compromesso in cui la “pace” venga comprata cedendo territori a Mosca. Il successo dell’attacco di sorpresa a Kursk ha migliorato solo temporaneamente il morale ucraino.

Il punto essenziale rimane il sostegno occidentale e il concetto strategico a cui si è ispirato. Per questo l’interrogativo di cosa deciderà Donald Trump, nel caso di vittoria, è tanto importante. La strategia occidentale di sostegno dell’Ucraina è stata basata sull’assunto che, aumentando i costi dell’aggressione, diminuendo i suoi benefici, garantendo la continuità del sostegno a Kyiv e continuando le pressioni anche economiche sulla Russia, il Cremlino avrebbe accettato un compromesso ragionevole, che avrebbe potuto essere chiamato “vittoria”, salvando non solo l’Ucraina, ma la faccia degli Usa e dei loro alleati; al limite di ritirarsi come in Afghanistan a fine anni ‘80.

Anche per mantenere il consenso delle loro opinioni pubbliche, gli Usa e i loro alleati hanno limitato il sostegno a successive “linee rosse”, volte ad evitare una temuta escalation da parte del Cremlino. Esse sono state in gran parte superate per quanto riguarda carri armati, missili a lunga gittata, aerei, autorizzazione a colpire il territorio russo vicino al confine, ecc. È una strategia che ha consentito agli ucraini di continuare a resistere, ma non di infliggere ai russi perdite tali da indurli a trattare. Ha anche indotto il Cremlino, sorpreso dalla resistenza ucraina, a ridimensionare gli obiettivi iniziali dell’“operazione militare speciale” dalla “de-nazificazione”, smilitarizzazione e mutamento di regime a Kyiv, all’annessione alla Russia dei quattro Oblast di confine e della Crimea.

Per intimidire l’Occidente, il Cremlino ha adottato una strategia dichiaratoria del “Chicken Game” (Strategia del “pollo”, in cui il “pollo” è stato sempre soprattutto Biden) con la minaccia di escalation nucleare. Essa è tanto folle da essere irrazionale e incredibile. È stata resa tale dal fatto che Biden ha posto come pilastro della sua strategia la volontà di evitare l’escalation, quindi di lasciare il “gioco strategico” nelle mani del Cremlino, che ne ha efficacemente approfittato.

Vige ancora la dissuasione della guerra fredda. Il ricorso al nucleare sarebbe un suicidio, anche per la scarsa possibilità di evitare il passaggio da quello tattico a quello strategico e per la diffusione di armi “sporche” e di nuovi aggressivi chimici basati sullo sviluppo dell’IA. Non penso che Putin sia un tipo da “Muoia Sansone con tutti i Filistei”. Il “gioco del pollo” è comunque riuscito al Cremlino nel settore dell’infowar. Basti pensare al terrore del nucleare suscitato in Italia e i condizionamenti che le minacce nucleari sembrano aver avuto sulla decisione di Biden di vietare attacchi in profondità sul territorio russo.

Il “pollo” occidentale non potrà più essere minacciato impunemente, poiché il Cremlino non potrà più contare sulla sua mancanza di reazione. Tipi come Dmitri Medvedev non potranno più scherzare sul nucleare per acquisire meriti patriottici e far carriera. Un bagno di realismo dovrebbe indurre il Cremlino a prendere sul serio le proposte di una “fair peace”, accettabile anche per Mosca, basata sulla cessione di territori in cambio della fine della ostilità e su credibili garanzie di sicurezza per quanto rimarrà dell’Ucraina, che Trump verosimilmente presenterà come ultimatum per le due parti. Ha le carte per imporre la sua volontà. Potrà minacciare Kyiv della fine del sostegno e Mosca del loro aumento spropositato, nonché di qualche “scherzo” sulla flotta fantasma di petroliere e metaniere, vitale per la sopravvivenza economica della Russia.

Verrà così modificata quella strana, cauta e rinunciataria strategia di Biden che, come ha efficacemente detto Lucio Caracciolo, non è volta a far finire il conflitto, ma “ad indebolire la Russia fino all’ultimo ucraino”. È una strategia che non può portare alla fine del conflitto. Con Trump, una rapida fine del conflitto – escluso che possa consistere nella resa incondizionata dell’Ucraina – potrebbe essere conseguita riprendendo in mano Usa la gestione della “strategia del pollo”, modificandola. Dato il carattere della persona potrebbe succedere più rapidamente di quanto molti ritengono. Le difficoltà sia militari che economiche di entrambi i contendenti dovrebbero facilitare la sua azione, che sarà più di imposizione e ricatto che di mediazione.

Beninteso, i particolari della strategia di Trump sono imprevedibili. Però la strategia che abbiamo delineato corrisponde non solo alla sua natura di “giocatore d’azzardo”, ma anche a quanto lo stesso Trump sostiene nel suo saggio “How to make a deal”, in cui appunto esalta quello che Herman Kahn – il fisico fondatore dell’Hudson Institute – nel suo volume “Thinking About the Unthinkable –  teorizza come “Chicken Game” o “strategia del pollo”, chiamata anche “strategia del folle”, sia volta ad ottenere benefici da un’apparente follia.

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