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Occorre una politica industriale che liberi risorse e strategie. E’ questo l’imperativo categorico per rimanere convinti che la ripresa e lo sviluppo siano possibili. Anche un uomo del cinema come Enrico Vanzina, figlio del regista Steno, si è accorto di un autunno pieno di cupe incognite: “Siamo in recessione – ha annotato – anzi in deflazione (dicono sia peggio). Dopo mesi passati a sperare in una ripresa, anche minima, la doccia fredda:scendono i prezzi, calano gli acquisti, continua a calare l’occupazione”.

Le due nuove realtà registrate al termine delle ferie estive ce le ha indicate Romano Prodi: “La prima – scrive l’ex premier – è che la Germania non solo non è più in grado di fare da locomotiva ma ha cominciato ad essere un freno e che le previsioni dei suoi operatori economici peggiorano di giorno in giorno. La seconda è che non solo non esiste alcun pericolo di inflazione, ma siamo ormai in piena deflazione. L’aumento dei prezzi non raggiungerà in ogni caso il mezzo punto all’anno mentre l’obiettivo della Bce lo fissava intorno al due per cento”.

Come si può reagire? Lo ribadiamo: l’industria deve cambiare paradigma! Si deve cercare la crescita col possesso, l’uso e l’aggiornamento delle tecnologie, soprattutto digitali. Si tratta di una scelta che favorisce l’internazionalizzazione. Chi ha scelto questa strada cresce. Enrico Cisnetto, giornalista economico, ci ha segnalato dati interessanti sul manifatturiero che avanza, nonostante la crisi. “Secondo l’Eurostat – si legge nella sua rubrica sul “Messaggero” – da noi ci sono circa 425mila imprese manufatturiere, di cui 88mila votate all’export. Ed è proprio questo 20,8 per cento a produrre l’80 per cento del valore aggiunto e del fatturato complessivo. Guarda caso, è proprio l’export a generare quasi un terzo del Pil complessivo e quindi a tenere in piedi la nostra economia”.

E’ evidente che, contando solamente sui loro mezzi, le suddette imprese non potranno reggere ancora per molto. In tal senso, la decisione della Bce di abbassare il tasso di sconto allo 0,05 per cento, il livello più basso della storia, può aiutare, ma non risolvere. Aiuta, perché favorisce la liquidità nel mercato attenuando l’incidenza della deflazione e perché, riducendo la forza dell’euro, rende più competitive le esportazioni. Non risolve, perché in questo quadro di difficoltà economica, le tensioni speculative rimangono in agguato e potrebbero colpire singolarmente, a cominciare dai Paesi che crescono meno.

In Europa, purtroppo, l’Italia è ancora quella che va peggio: qui si registra una crescita di poco superiore allo zero, rispetto al quasi 2 per cento della Germania. Dal 16 settembre a Villa San Giovanni in Calabria la Uilm svolgerà il suo XV Congresso. Si tratta di un’occasione importante per esporre un originale contributo al dibattito in atto nel Paese che va ben oltre le questioni della crescita e dello sviluppo. Il sindacato è stato ed è un “pezzo” della democrazia in Italia. Se vorrà continuare ad esserlo, anche il suo futuro si gioca sul campo dell’innovazione e della modernità. E’ proprio qui che vige, innanzitutto, l’efficace regola del riformismo.

Antonello Di Mario, Direttore di “Fabbrica società”

4 marzo

La Uilm e la regola del Riformismo

Occorre una politica industriale che liberi risorse e strategie. E’ questo l’imperativo categorico per rimanere convinti che la ripresa e lo sviluppo siano possibili. Anche un uomo del cinema come Enrico Vanzina, figlio del regista Steno, si è accorto di un autunno pieno di cupe incognite: “Siamo in recessione – ha annotato - anzi in deflazione (dicono sia peggio). Dopo…

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