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E’ presto, molto presto, per poter inneggiare ad una pace (o anche solo un cessate il fuoco) nella regione Donbass in Ucraina. Il vertice di Minsk, che ha visto ben sei ore di intensi colloqui fra il presidente russo e quello di Kiev, ha ottenuto i migliori dei risultati possibili e auspicabili. Anzitutto si è tenuto, i due leader si sono stretti la mano e si sono parlati. E questo è stato l’inizio.

Nel frattempo la Unione Europea, attraverso la Commissione, si è espressa chiaramente dichiarando di assumersi la responsabilità di sostenere finanziariamente l’Ucraina per le sue forniture di gas: un impegno non banale che però deve aver assicurato entrambe le parti. Quindi, è stata la volta di Putin che candidamente ha spiegato le ragioni della sua “aggressività”.

In gioco, se l’Ucraina aderisse alla Ue, ci sarebbero – la cifra l’ha data lui stesso – quasi tre miliardi di dollari. Per una Russia in una condizione economica non floridissima non sarebbe un toccasano. Toccare le corde del nazionalismo e interpretare il gioco di una nuova guerra fredda è (stato) invece ben più redditizio per il capo del Cremlino. Non pensava forse che l’Occidente, pur con tutti i suoi errori e le sue contraddizioni, avrebbe tenuto il punto.

La Merkel – alleata non occasionale della Russia – ha cercato di spiegarlo più volte negli ultimi quindici giorni. E la Cancelliera tedesca non è stata l’unica a far sentire la sua voce. Benchè sia del tutto improbabile riuscire ad ottenere conferme ufficiali e plateali, molti indizi convergerebbero verso un’azione diplomatica tanto riservata quanto efficace della Chiesa russa e di quella cattolica. Papa Francesco infatti è riuscito – non senza il supporto del suo Segretario di Stato, il cardinal-ambasciatore Parolin – ad assumere in questi mesi un ruolo sempre più rilevante nelle difficili crisi regionali che stanno scuotendo l’umanità.

Se è stato Bergoglio ad invocare una reazione – anche militare – per proteggere le minoranze religiose dal genocidio mosso dai terroristi dell’Islamic State, è stato lo stesso Pontefice a fermare i missili americani già pronti per colpire la Siria di Assad. In quella occasione, Francesco scrisse proprio a Putin, che in quel momento presiedeva la riunione del G20. Il presidente russo fu molto colpito da quelle parole, e dal suo autore.

Che il Papa abbia pregato per la pace in Ucraina è certo. Che il capo della Chiesa bizantina, Shevchuk, abbia indirizzato una importante lettera alla Santa Sede è altrettanto di dominio pubblico. Di più sarebbe azzardato ipotizzare. Resta il fatto però che la colomba della pace non abbia volato così lontano da Minsk. Ed è stato soprattutto Putin a fare affermazioni distensive e inedite. Quanto queste siano solo tattica e quanto invece corrispondano al profondo intendimento dell’ex spia del Kgb non lo sapremo mai, forse.

Il dato politico però c’è e conferma che la Russia ha paura dei danni economici che potrebbe subire e non esclude la possibilità di una seria trattativa. Siccome Mosca siede nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU ed è un alleato prezioso nella lotta al terrorismo (avendo peraltro la Russia, grazie al suo ministro degli Esteri, il veterano Lavrov, rafforzato i suoi legami con i Key-Player nel Mediterraneo, Egitto e Israele), la UE dovrebbe a questo punto scoprire il gioco di Putin.

Dovrà farlo l’Europa e non gli Stati Uniti. Questo significherà, passando dalla poesia alla prosa, metter mano al portafoglio. Sarà costoso – e non poco – sia per Bruxelles che per i singoli Stati europei. Ma sarà comunque conveniente. Più di quanto si possa oggi calcolare.

Russia, Ucraina e Ue. La via per la pace e il ruolo di Papa Francesco

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