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Mentre aumentano le voci critiche di chi ritiene impensabile il rispetto da parte dell’Italia dei contenuti e dei tempi del Fiscal Compact, un nuovo meccanismo finanziario si profila nel futuro degli Stati e delle economie dell’Euro-zona.

CHE COSA E’ L’ERF

Si tratta dell’ERF, il Fondo di Redenzione Europeo, studiato e approntato a livello istituzionale comunitario soprattutto per iniziativa del governo di Berlino.

Concepito allo scopo di favorire un accelerato percorso di risanamento dei conti pubblici delle nazioni più vulnerabili e indebitate, il nuovo parametro prevede che tutti gli Stati aderenti all’area della valuta unica conferiscano a un fondo condiviso le rispettive porzioni del passivo di bilancio superiori al 60 per cento del Prodotto interno lordo.

Per finanziarsi e convertire i titoli sovrani in strumenti finanziari assicurati da Bruxelles, il nuovo organismo emetterà nel mercato dei capitali una sorta di Euro Union Bond.

IL TIPO DI GARANZIE

La gestione corresponsabile di una parte considerevole del debito pubblico contribuirà alla riduzione dei tassi di interesse per pagare il costo del disavanzo. Ma richiederà una robusta garanzia come le ricchezze patrimoniali nazionali, le riserve auree e valutarie, la partecipazione statale in aziende strategiche, una componente rilevante delle tasse riscosse in ogni paese membro.

L’OPINIONE DI ANTONIO MARIA RINALDI

L’iniziativa aveva provocato ad aprile le critiche aspre dell’economista Antonio Rinaldi, fortemente ostile all’architettura monetaria costruita nel Vecchio Continente.

Lo studioso aveva parlato di “trappola tra le più micidiali messe a punto dai burocrati europei contro le realtà più fragili dell’Euro-zona”, e di “punto di non ritorno nella completa abdicazione delle residue sovranità nazionali”.

A suo giudizio l’ERF crea una sorta di “pilota automatico irreversibile” per il rispetto delle regole previste dal Fiscal Compact: “Regole che, lungi dal ricalcare i vincoli dei Trattati di Maastricht e Lisbona fondati sul rapporto del 3 per cento tra deficit e PIL, prospettano l’obiettivo vincolante del pareggio di bilancio in un arco temporale di almeno 20 anni. Finalità per le quali nel 2014 e 2015 il nostro paese dovrebbe reperire 38,4 miliardi di euro restando nelle ipotesi più ottimistiche”.

I RISCHI SUGLI ASSET STRATEGICI

Ridurre in modo coercitivo e spietato le eccedenze di debito senza possibilità di moratorie comporterà per Rinaldi l’adozione di una logica da curatore fallimentare, più orientata a soddisfare le esigenze del creditore che i diritti del debitore.

Ricetta che “provocherà la vendita a prezzi di favore delle partecipazioni statali in Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, la l’alienazione dei beni immobiliari pubblici – in gran parte di proprietà delle amministrazioni locali e di complicata messa sul mercato – e soprattutto la rinuncia a ogni residuo di indipendenza nazionale dell’Italia”.

UN EFFETTO COLLATERALE

Peraltro, osserva lo studioso, i fautori della mutualità dei debiti tramite le emissioni comuni non tengono conto di un effetto inevitabile della loro proposta.

La porzione del passivo di bilancio rimasta entro il limite del 60 per cento del PIL e dunque nella “gestione nazionale” subirebbe, rispetto ai titoli “comunitari”, una caduta di valore e un innalzamento dei tassi. Il risultato sarebbe “l’annullamento dei risparmi scaturiti dalle emissioni condivise”.

LE CONSONANZE

L’economista paventa lo scenario di una depredazione delle nostre ricchezze compiuta per impulso di entità sovranazionali in nome del taglio ventennale del passivo di bilancio. E non esita a contestare la proposta, avanzata a luglio dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, di costituire un “fondo federale europeo” in grado di emettere Euro Union Bond con lo scopo di mettere in comune il debito pubblico o una sua parte.

Esattamente come prospettato dai teorici dell’ERF, anche al fondo evocato dall’esponente del governo gli Stati membri dell’Euro-zona dovrebbero conferire una porzione del proprio patrimonio pubblico, immobiliare e non”.

Le sue parole sembrano rivelare l’adesione di Palazzo Chigi al Fondo di Redenzione Europeo, con i suoi vantaggi e i suoi molteplici vincoli. E’ forse questa, si chiede polemicamente Rinaldi, la contropartita che i nostri partner europei a partire dalla Germania hanno preteso per concederci un’evanescente flessibilità nell’applicazione dei parametri di bilancio?

L’ACCELERAZIONE DI BERLINO E BRUXELLES

L’interrogativo non ha trovato finora risposte nell’esecutivo e in Parlamento. Tuttavia negli ultimi giorni il percorso verso la creazione dell’ERF è apparso più spedito e libero da freni.

È il quotidiano il Mattino di domenica scorsa a illustrare con un’analisi a firma Pietro Perrone la volontà delle istituzioni europee e tedesche di procedere all’adozione del Fondo di Redenzione Europeo nella versione più rigorosa e meno accondiscendente nei confronti delle richieste degli Stati più vulnerabili.

Realtà in cui spicca l’Italia che, ricorda oggi Il Giornale con un articolo di Antonio Signorini, verrà chiamata a versare al fondo comune ben 900 miliardi di euro. Risorse equivalenti alla ricchezza creata in 7-8 mesi, e alla quota che eccede il 60 per cento del rapporto debito-PIL.

SVENDITA IN ARRIVO?

La formulazione del piano, su cui per Il Giornale sarebbero concordi Mario Draghi e Matteo Renzi, prevede precise garanzie da parte dello Stato italiano: patrimonio immobiliare pubblico, beni paesaggistici come le spiagge, partecipazioni di capitale nelle realtà industriali da privatizzare.

Condizioni che provocano la reazione del parlamentare di Forza Italia e presidente della Commissione Finanze di Montecitorio Daniele Capezzone. Il quale evocare lo spettro di una “Svendita Italia” e di una nuova “Operazione Britannia”, che nel 1992 preparò il terreno per le controverse privatizzazioni degli anni Novanta. Senza risolvere i cronici problemi dei bilanci pubblici. Aperturista, invece, la posizione del senatore Antonio D’Alì del Nuovo Centrodestra.

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