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Le proteste a Hong Kong sembrano essere finite. I ragazzi sono tornati a scuola e le strade sono state riaperte? O semplicemente la stampa (italiana e non solo) non ha saputo interpretare lo sviluppo degli eventi? Le trattative tra governo locale e manifestanti sono avviate, ma a quali risultati sono giunti nei primi incontri?

In una conversazione con Formiche.net, Marco Perduca, rappresentante all’Onu del Partito Radicale che ha seguito le proteste stando a Hong Kong, spiega quello che sta davvero succedendo: la popolazione di una delle città tra le più ricche al mondo sta arrivando a maturazione una presa di coscienza civile, e quindi politica, ha visto aumentare il divario tra ricchi e poveri e il costo della vita, ma anche diminuire la propria importanza e influenza a livello regionale e planetario.

Secondo Perduca, non è stato tanto il ritorno alla Cina in sé e per sé ad aver creato questo stato di cose. “Negli ultimi 15 anni la Cina è cresciuta in modo impressionante e ha iniziato a diversificare la propria economia investendo i proventi del settore manifatturiero sia in Asia che in Africa, e, ma in modo diverso anche in Europa. La Cina s’è modernizzata economicamente facendo concorrenza a Hong Kong”. Perduca ricorda che quando l’ex colonia britannica, una zona abitata da 7,2 milioni di abitanti, è stata “restituita” Pechino aveva un prodotto interno lordo che da solo valeva un quinto di quello della Cina del 1997 – Cina che già aveva oltre 1,2 miliardi di abitanti; oggi Hong Kong produce intorno al 3% del Pil cinese – ma solo perché la crescita della terraferma è stata straordinaria.

Ci spiega che cosa sta davvero succedendo a Hong Kong?

Grazie a un regime fiscale pressoché inesistente sui beni e servizi, Hong Kong ricava il 20% del proprio Pil dal turismo mordi e fuggi da shopping – ogni anno viene visitata da una ventina di milioni di cinesi. Sebbene il passaggio alla Cina abbia creato molte incertezze nei primi tempi, a Hong Kong son rimaste intatte la libertà di informazione, di assemblea e di insegnamento. La ricchezza però è concentratissima e il capitalismo di Stato cinese non ha fatto altro che ridurre il numero e rafforzare il ruolo degli oligarchi locali. Il combinato disposto di questa presenza di soldi, di libertà di espressione e di educazione e scolarizzazione ha fatto sì che ogni tentativo di limitare ciò che c’è, ma anche di impedire che altre libertà si codifichino, cioè il suffragio universale attivo e passivo, si scontri con una massa critica fatta da Cittadini e non da sudditi. Una resistenza civile che oggi disobbedisce all’ordine di tornare a casa.

Si è abbassata l’affluenza degli studenti o semplicemente la stampa estera non ne parla più?

La stampa anglofona continua a seguire molto da vicino l’occupazione, quella italiana, beh la stampa italiana la conosciamo… Il picco della presenza si è registrato la notte di sabato 4 ottobre quando le varie organizzazioni che occupano avevano convocato una manifestazione anti-violenza a seguito degli attacchi di malintenzionati di varia provenienza a uno degli avamposti dell’occupazione nel quartiere di Mong Kok. Da allora, in effetti, la presenza dei manifestanti è scemata fino a venerdì 10 quando, dopo che con un secco comunicato stampa l’amministrazione cittadini cancellava la prima riunione prevista per questo giorno, c’è stata una nuova occupazione di massa. Certo è più facile trovare volontari nel fine settimana, ma il fatto che dopo 15 giorni ci siano ancora migliaia di persone che passino buona parte della propria giornata di studenti o lavoratori in piazza a discutere, studiare, confrontarsi e tener d’occhio la polizia mi pare un indicatore di grande risolutezza del movimento. Nessuno si s’aspetta di risolvere la situazione con un tweet…

Come interpreta i colloqui tra i manifestanti e il governo?

A un primo sofferto dialogo a distanza e dopo grandi promesse reciproche a reti unificate, il primo incontro è stato cancellato, e all’ultimo minuto. Va detto che non era stato chiarito quale sarebbe stato il formato del dialogo né su quale delle richieste dei manifestanti. Una delle caratteristiche di questa “occupazione” è che ogni giorno succedeva “una” cosa e “una” sola.

Nelle sue corrispondenze per Radio Radicale fa riferimento all’Australia…

Dall’Australia stanno arrivando notizie relative a somme intascate dal capo dell’esecutivo CY Leung per delle consulenze per una impresa australiana attiva nel settore dei trasporti pubblici prima che fosse eletto, consulenze le cui ultime tranche però son state corrisposte anche dopo la sua ‘elezione’ del 2012. Allo stesso tempo stanno emergendo ulteriori possibili inghippi di conflitti d’interesse e di mancanza di separazione di poteri (un funzionario della solita impresa australiana è recentemente nominato da Leung nel consiglio di amministrazione della “municipalizzata” dei trasporti urbani della città) che non fanno altro che aggiungere pressione sull’amministrazione che, dopo l’ordine di usare i lacrimogeni contro la piazza il 28 settembre, già non godeva di particolari simpatie in città.

Hong Kong diventerà un’altra città cinese?

È più facile il contrario. Pechino ha investito centinaia di miliardi di dollari per sviluppare porti alternativi a Hong Kong, e in effetti c’è riuscita, specie nelle zone vicine ai distretti manifatturieri o a Taiwan, ma non è riuscita a lanciare Shangai come centro finanziario di attrazione mondiale in alternativa a Hong Kong. In Cina manca l’ingrediente necessario per gli affari: la certezza delle regole e lo Stato di Diritto. La burocrazia, la corruzione, l’incertezza dei tempi per aggiudicare le dispute e il fatto che comunque il pubblico rimanga strutturalmente coinvolto nell’economia non hanno attirato gli investimenti stranieri. A Hong Kong tutto ciò invece c’è e, anzi, per caratterizzarsi diversamente dalla Cina ha se possibile rafforzato certe caratteristiche.

Quanto hanno influito le perdite economiche che le proteste hanno generato?

Il governo ritiene che nella sola prima settimana di occupazioni siano stati persi circa 250 milioni di euro in mancati introiti da assenza di turisti per lo shopping (il 1° ottobre era anche festa nazionale e si aspettavano centinaia di migliaia di visitatori dalla Cina); allo stesso tempo si sono arrecati danni alla collettività, anche se magari di altra natura. Mai per difficile che si possa fare la “rivoluzione” – anche se qui non di rivoluzione si tratta – senza creare qualche “danno”.

Che cosa l’ha colpito di più di questi giorni?

Ogni tanto mi son travato a pensare come sia possibile che una città come Hong Kong, che non solo non ha nulla da invidiare a una capitale europea o a una città degli Stati Uniti, ma che in efficienza e lussi ha da insegnare, sia costretta a distrarre la classe dirigente del futuro dalle proprie attività formative per chiedere di eleggere il governo! Poi però il pensiero mi s’è subito invertito in mente e mi son detto che Hong Kong è fortunata ad avere una generazione di futuri amministratori, imprenditori e governanti che lottano tutti insieme per un futuro di libertà e legalità. Le piazze di Hong Kong son piene di “secchioni” che studiano nelle migliori università del mondo e che, appena possono, si organizzano per continuare a studiare durante l’occupazione.

Che differenze ci sono rispetto alle proteste di piazza Maidan e piazza Tahrir?

Credo che sia questa la marcia in più rispetto a piazza Maidan o piazza Tahrir, e forse alle piazze nostrane che troppo spesso finiscono con un confronto violento con la polizia. L’immagine simbolo di questo movimento è un ragazzino che col proprio ombrello copre il poliziotto dall’altra parte della barricata che gli fa la guardia. Mi ha colpito che la nonviolenza politica possa esser ancora praticata e, son certo, con risultati positivi e duraturi.

Hong Kong, vi spiego ragioni e volti della protesta. Parla Marco Perduca

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