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L’attuale esitazione dell’Occidente di fronte al conflitto in Ucraina sta venendo interpretata dal Cremlino come un simbolo di speranza. Speranza per una vittoria sempre più prossima in quella che l’apparato propagandistico russo caratterizza come la sacrosanta “Operazione Militare Speciale”, dove (fino ad ora) trecentomila russi si sono sacrificati per il bene comune del proprio popolo e del proprio Paese. O meglio dire per le ambizioni del leader, Vladimir Putin. Un’invasione, sì, ma un’invasione giusta, dice la propaganda del Cremlino.

In un articolo pubblicato dal Center for European Policy Analysis la giornalista ed esperta di Russia Julia Davis lancia l’allarme sulla vivacità del sistema atto a promuovere la narrativa ufficiale di Mosca, scegliendo un titolo molto significativo: “Give the Kremlin an Inch and it Will Take Half of Europe”.

L’analisi descrive la retorica diffusa nella sfera mediatica pubblica russa, estremizzata al massimo non tanto per giustificare logicamente quanto per magnificare l’approccio del Cremlino alla politica estera. Dalle minacce così poco velate da apparire quasi come palesi agli avversari dell’attuale regime di Mosca ai richiami storici alla passata grandezza dello Stato russo nella sua forma più o meno sovietica. Guardando già oltre l’Ucraina. “La Polonia potrebbe essere il prossimo candidato ad essere gettato sotto i carri armati russi” ha affermato lo scrittore Dmitry Lekuh, aggiungendo anche che “dividere la Polonia tra Russia e Germania è il nostro passatempo nazionale”. Mentre l’esponente apicale della propaganda televisiva russa Vladimir Solovyov asserisce come “Siamo entrati in un periodo di colossali cambiamenti geopolitici. Molte formazioni accidentali, incapaci di avere una propria statualità, potrebbero non sopravvivere a quest’epoca. Mi riferisco agli Stati baltici e a tutta l’Europa. Non credo che i confini europei nella loro configurazione attuale continueranno a esistere ancora a lungo. Non vedo alcun motivo per cui dovrebbero esistere”.

Davis, esperta del linguaggio propagandistico russo, delinea la minaccia che emerge dalla narrativa dell’informazione pubblica di Mosca: “Appellarsi alla moralità o all’umanità del Cremlino è un esercizio inutile. La Russia di Putin non è limitata da alti ideali, ma solo dalle sue capacità. Le discussioni occidentali sulla possibilità di abbandonare l’Ucraina e costringerla a un accordo di pace con la Russia incoraggiano Mosca a espandere la sua offensiva, con mezzi militari e non. Coloro che sperano di placarla stanno commettendo un profondo errore: se si concede al regime un po’ di terreno, questo non farà altro che chiedere di più”.

Salami Tactics”. Un termine buffo, esistente nel linguaggio ufficiale della teoria delle relazioni internazionali, ed impiegato proprio per descrivere processi simili a quello che la Russia sta portando avanti da più di un decennio: una serie di piccole operazioni militari più o meno convenzionali, ognuna delle quali garantisce l’acquisizione di una porzione di territorio. Dalla guerra in Georgia al fait accompli della Crimea, dalle rivolte separatiste in Donbass all’invasione su larga scala nel febbraio 2022, Vladimir Putin sta cercando di estendere, specialmente all’interno del “Near Abroad”, i confini della sua Russia. Un pezzo alla volta.

Ovviamente i Paesi confinanti sono considerati come i più esposti a simili rischi. Il riferimento ai Paesi Baltici e alla Polonia da parte del propagandista russo riportato da Davis non è casuale. Così come non è stata casuale la decisione della Svezia, e ancora di più della Finlandia, di entrare nell’Alleanza Atlantica per proteggersi al meglio da eventuali colpi di mano di Mosca. Ma le mire del Cremlino si estendono in profondità, e toccano regioni tanto lontane fisicamente dalla Russia quanto ad essa strettamente collegate.

Come ad esempio l’area balcanica. Lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che la Russia si stia preparando ad agire nella zona, sfruttando i suoi storici legami con la Serbia la sua presenza in Transnistria, nel tentativo di causare ulteriori fratture al fronte occidentale e di avvicinarlo così al punto di rottura. Così da poter finire di fagocitare l’intera Ucraina prima che eventuali adesioni di essa a corpi internazionali occidentali lo rendano impossibile.

La stessa Serbia dove Giorgia Meloni ha fatto scalo di ritorno dalla Cop28, con l’obiettivo di promuovere i numerosi dossier italiani nella regione, dai migranti alla transizione energetica. Dossier che però si basano tutti sulla stabilità di quell’area che si è guadagnata il nomignolo di “polveriera”, e che un’azione ben studiata da parte del Gru o dell’Svr potrebbe rimettere a fuoco, facilitando la propria penetrazione a scapito di quella altrui. Sfruttando poi la posizione raggiunta come trampolino per ulteriori espansioni nell’area. Un pezzo alla volta.

Un pezzo alla volta Putin allarga le sue mire. Occhio ai Balcani

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